lunedì 12 giugno 2017

Il Risorgimento smarrito

Il messaggio del nostro risorgimento, pur nella retorica e nell'ambiguità del modo con cui ci è pervenuto nel tempo, aveva una sua autentica e manifesta eredità identificabile nell'ideale dell'indipendenza nazionale.

Ideale che l'elaborazione di gran parte del pensiero ideologico occidentale del xix secolo (seconda parte) e (prima parte) del xx secolo, puntò e in larga misura riuscì, a derubricare a categoria subalterna nella complessa gerarchia dei rapporti sociali, con l'affermare il prevalere assoluto dei conflitti economici di classe, estensibili alla stessa competizione internazionale, come fondamentale causa di guerra ed indispensabile fattore di pace.

L'indipendenza nazionale mantenne (e mantiene) di fatto una sua autonoma funzione, tutt'altro che irrilevante nella definizione degli interessi e dei rapporti di forza fra le nazioni, secondo l'astuzia o la saggezza politica dei rispettivi governi.

Una indipendenza che, nel nostro paese, gli orientamenti politici e sociali dei governi post risorgimentali (con la complicità della monarchia sabauda), fino alla scelta imperialista mussoliniana, avevano fatto precipitare il paese in due guerre mondiali, e lo smarrirsi di quel tanto di coesione nazionale che è condizione minima di ogni comunità per assurgere al rango di popolo.

E' un vincolo che caratterizza diversamente la storia delle nazioni dell' ultimo secolo e mezzo e ne ha ampiamente declinato i destini, nella guerra e nella pace, nella prosperità e nella precarietà.

La nostra storia nazionale ha una sua chiave interpretativa in questo schema concettuale e facilmente riusciamo a cogliere carenze e vulnerabilità del paese in questo precario ed ipocrita rapporto fra i governi, o meglio le classi dirigenti, e la popolazione tutta.

Rapporto che si identifica essenzialmente nell'irrisolto dilemma del dire o tacere la verità (quando essa è amara) e che ebbe il suo storico confronto pubblico fra Rousseau e Voltaire.  

Ne possiamo misurare le conseguenze, in questi nostri momenti di difficoltà economiche del mondo bancario, come la Veneto banca, la Popolare di Vicenza o lo stesso Monte dei Paschi, nella odierna significativa ricostruzione di Ferruccio de Bortoli (supplemento "L'Economia" del Corriere della Sera).

Ma ancor più significativamente, sempre oggi, nell'editoriale di Eugenio Occorsio ("Affari e Finanza" de "la Repubblica") veniamo a sapere che il nostro Debito Pubblico è gestito, per circa un terzo (800 miliardi, su 2.240 miliardi complessivi) da fondi esteri.                        .

Laddove è opportuno aggiungere che la crisi finanziaria, oltre alle sue intrinseche vulnerabilità, si ingigantisce per l'ampiezza dei crediti deteriorati, la cui origine non può che derivare dal più vasto ambito della nostra crisi industriale, vale a dire l'incapacità della produzione di restituire i prestiti ricevuti per le spese correnti di esercizio.  

E' inutile che il Governo ricorra, da lungo tempo, all'alternativa perdente della elasticità interpretativa del nostro indebitamento (ed il suo ulteriore accrescimento).

Tutto peggiorerà senza il coraggio di assumere una duplice strategia difensiva.

In primo luogo, la denuncia economica inerente all'abissale errore commesso nel meccanismo di conversione della moneta unica, con l'inevitabile espropriazione - parificabile ad un patto leonino e tuttora perdurante - del nostro potere d'acquisto che ha colpito e tuttora colpisce la massa dei consumatori italiani, indiscriminatamente.

In secondo luogo, la denuncia politica dell'abbandono passivo di ogni connotato federalista dell'Unione europea che, unita alla sperequazione monetaria, ha costretto l'Italia a paese di servizio.

Scenario, in altre parole, che rappresenta il tradimento puro e semplice del messaggio di Ventotene.










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