Il discorso di lunedì scorso a Strasburgo del Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, rivolto al Parlamento europeo, riunito in plenaria, con l'allarme dichiarato sulla declinante compattezza politica dei paesi aderenti all'Unione europea, merita riflessioni al di là del suo merito intrinseco
La denuncia dell'impotenza europea, attribuita da Macron ad altri leader europei, timidi nella ricerca, o addirittura rassegnati alla rinuncia, della sovranità dell'Unione, non può non richiedere appropriate risposte degli esponenti politici che ne fanno parte.
Le deve comunque ottenere dal punto di vista italiano, a prescindere dai presupposti ispiratori delle dichiarazioni del primo cittadino di Francia.
A cui, d'impulso, sia lecito precisare che la genesi del malessere europeo è derivato dai limiti culturali dei governi dell'Unione, che hanno dimenticato, o forse volutamente respinto, gli ingredienti essenziali ed irrinunciabili della sovranità di una Istituzione che unisce più stati, identificabili con il loro assetto rigorosamente federalista.
Senza il quale è illusoria ogni sovranità dell'Europa, fatalmente incapace di superare i labili vincoli di una confederazione di Stati, secondo regole di convivenza condizionate da rapporti egemonici e da unilateralità di iniziative, non escluse quelle di carattere bellico, le cui, talvolta tragiche, conseguenze ed i prezzi politici relativi, ricadono sull'Unione nella sua interezza.
L'Italia, in modo particolare, nella situazione data, non può non valutare la (impellente) necessità di una revisione dei patti e della modifica di non saggi comportamenti che visibilmente hanno contaminato il percorso effettuato per l'edificazione dell'Unità europea fino ad oggi.
La storia pre e post unitaria del nostro paese, ha registrato numerosi precedenti di politica estera fra Italia, Francia e Germania, connessi a tragiche scelte, specie della seconda guerra mondiale, con risultati, anche per nostre responsabilità, tutt'altro che lusinghieri.
L'ideale europeo, tuttavia, è scaturito proprio dal superamento di un millenario periodo di conflittualità e dal tramonto dell'eurocentrismo.
Prendemmo coscienza che le contrapposizioni ideologiche sociali e le dimensioni mondiali dell'economia, imponevano, per non retrocedere o per sopravvivere, la necessità di superare insieme i rispettivi confini nazionali, purché su piano paritario.
La crisi globale ed il riassetto degli equilibri militari ed economici internazionali, non devono, ora più che mai, perdere coscienza degli errori commessi e del disastro incombente sull'eco sistema del nostro unico pianeta.
Smorzare le ispirazioni iniziali degli Stati Uniti d'Europa significherebbe ribadire inconsciamente il pessimistico aforisma che esalta la "storia come maestra di vita" ma valuta "gli uomini come cattivi discepoli".
Senza dimenticare soprattutto, rievocando le parole di Macron, quanto sia delicata la sovranità di una congregazione di nazioni, dove essa è riservata alla decisione di alcune e poche di esse.
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