Assistiamo, ormai da oltre un mese, ai reiterati tentativi - di nuovi e vecchi esponenti politici nazionali - di formulare validi presupposti politici per la formazione del nuovo Governo della legislatura nata con il voto del 4 marzo scorso.
Nella previsione di una tuttora non imminente conclusione degli sforzi per un conclusivo "habemus papam"parlamentare, non sembri solo una perdita di tempo il confrontare durata e buon (o deludente) esito di essenziali esperienze precedenti della nostra storia repubblicana e soppesare la proporzione dei risultati ottenuti.
Il paragonare due fattispecie di grandi eventi, uno culturale, politico e sociale come la Costituzione italiana e quello dell'adesione alla moneta unica, rilevantissima e decisiva, di carattere economico, può indubbiamente, data la diversità morfologica delle due esperienze, apparire una bizzarria insignificante.
Eppure si tratta non solo di due realtà viventi della nostra storia che sono la profonda linea di demarcazione delle posizioni politiche che oggi si fronteggiano per opporre antitesi e simultanea compatibilità di sintesi.
Si distinguono le rive contrapposte delle rispettive formazioni politiche: alcune (Lega e 5s) ormai dimentiche delle loro originali propensioni ideologiche anti europee, altre (Pd, in primis), con (non unanime) impulso, enfaticamente compiaciute di brandire l'artiglio dell'opposizione contro i populismi, nella loro accezione di gruppi protestatari inconsulti e contrari allo spirito della Costituzione.
Una interpretazione realistica delle nostre vicende fondamentali ci suggerisce infatti che
la Carta Costituzionale non è riuscita ad influenzare la nostra vita politica proprio nei comparti sociali più significativi del nostro essere Nazione.
Dal momento stesso della sua nascita (70 anni or sono), sommata naturalmente alla intensa fase precedente, la vita politica del Paese è stato un continuo richiamo ai valori della Costituzione e, giustamente, si diede abbastanza presto vita all'organo indispensabile della sua esistenza, la Corte Costituzionale.
Ciò nondimeno, nessun partito, né organi di stampa od eminenti esponenti politici hanno speso particolari fatiche per la traduzione concreta delle norme costituzionali riguardanti le modalità di conduzione democratica dei Sindacati (art.39), delle Imprese (art.46), dei Partiti (art.49) e della parità di genere (art.51).
Nell'appagamento di una concezione strettamente privatistica della vita interna dei Partiti, registi determinanti della vita politica del paese, le segreterie rispettive hanno sempre trovato conveniente, da ogni punto di vista, sia di democrazia interna o di legalità finanziaria, mantenere l'inadempienza di tali norme ed anzi il costante silenzio su di esse.
Una verità opposta riguarda invece la scelta e le modalità tecniche dell'adesione alla moneta unica europea, l'euro.
Nessuno ha inteso mettere bocca su quella scelta, soprattutto sulle sue modalità, stranamente neppure fra coloro, non pochi, ostili a tale scelta che ha determinato uno scompiglio, tuttora perdurante, in tutti i rapporti finanziari per l'errore implicito in essa compiuto e, per l'Italia, di danno incalcolabile.
Quello cioè di calcolare il tasso di cambio "esclusivamente" sui listini derivanti dall'import/export con la Germania, senza tener conto del potere d'acquisto delle singole monete, nei rispettivi mercati interni, di peso quantitativo assai più rilevante.
Con l'aggiuntiva autolesiva opzione a favore dei listini più elevati (in altre parole con la svalutazione competitiva), proprio mentre le singole monete scomparivano e senza tenere in minimo conto le masse monetarie in circolazione di quel momento.
E' quasi paradossale rilevare che mentre sette decenni di discussione sulla Costituzione non ne hanno realizzato le sue parti più importanti, l'euro, al contrario, pur concepito secondo le modalità per noi più nocive, fu varato nell'indifferenza generalizzata.
In realtà, l'inadempienza di norme fondamentali della Costituzione ed il carattere leonino della conversione della lira, sono il grande ostacolo, conscio od inconscio, che costringe a guardare con fondamentale scetticismo la riuscita di negoziati e consultazioni per la nascita del primo Governo di legislatura e per il nostro stesso prossimo futuro.
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