Anche se il Governo giallo verde non ha nemmeno trascorso i tradizionali cento giorni, quale classico periodo di luna di miele riservato ad ogni nuovo esecutivo, non prevediamo che esso potrà mai suscitare un moto di diffuso compiacimento.
Al di fuori di motivi di insufficiente corrispondenza caratteriale, abbiamo l'impressione di trovarci di fronte ad un Governo di non competenti, dotati tuttavia di certezze assolute, tali cioè da collocarli a livello intellettualmente superiore, inaccessibile quindi ad ogni rilievo critico.
Con alcune eccezioni tuttavia, come quella del ministro Tria, la cui certezza si identifica, paradossalmente, proprio con la moneta unica, l'euro, la cui ripulsa ha invece caratterizzato l'originale anti europeismo della strategia leghista, versione Salvini.
Il quale invece sembra dominato dalla ricerca di ogni realtà a lui fastidiosa. come occasione per ostentare il proprio compito come missione liberatrice dai mali storici della patria nazionale e finalizzata al riscatto della sua piena indipendenza.
Una politica, la sua, che appare più propriamente una regia propagandistica caratterizzata da un lessico aggressivo, teso a dividere l'opinione pubblica, sopprimere dubbi, alimentare contraddizioni e, per la sua evidenza, in grado di prescindere da ogni qualsiasi congrua analisi critica.
Il ministro dell'interno è in effetti confortato finora dai sondaggi che, con permanente continuità, finora gli accreditano una crescita costante di consenso.
Forse anche perché sostenuto da una speculare strategia del presidente francese Emmanuel Macron, a sua volta uso a giudizi categorici per comportamenti nazionali altrui ("populista e contagiosa come lebbra" ha, poche ore fa, definito la politica italiana) ma dimentico o indifferente di quelli francesi, cioè a lui riconducibili.
Eppure Macron era stato salutato come il nuovo astro di una politica europea, il cui gran dissertare di queste settimane, sembra quasi coincidere con il grande tema dell'immigrazione, ma silente nel quadro della fondamentale criticità europea, il suo inconsistente assetto istituzionale.
Il gran parlare di sovranità è un brulichio di parole inutili e parallelamente anche il dibattito sulla moneta unica soffre inevitabilmente di un fondamentale punto di riferimento, calato com'è nella cornice di nazioni che vedono sempre più precario l'obiettivo unitario.
Eppure, lo stesso storico Manifesto di Ventotene (cui rese formale omaggio la stessa Angela Merkel, due estati or sono, in quell'isola appositamente recatasi a bordo di un incrociatore della Marina Italiana) nella sua fondamentale ispirazione conteneva il quadro istituzionale confacente all'Unione europea, allora come adesso, storicamente riconducibile all'ipotesi federalista: cioè agli Stati Uniti d'Europa.
Purtroppo l'opposizione parlamentare nostrana, vigile sui dettagli della politica governativa, ne denuncia la debolezza, ma è apparentemente inconsapevole delle enormi responsabilità che ad essa competono del peggiorare costante della situazione, proprio perché dimentica, essa per prima, della eredità del messaggio federalista, pur essendo il nostro paese l'erede geografico e culturale diretto.
Allargando sperimentalmente lo sguardo al resto del mondo, è spontaneo dedurre che il vecchio continente rischia di divenire terreno di invasione, colossale quanto disordinata, per la sua residuale ma ancora consistente ricchezza, per il benessere sociale e la piacevolezza dello stile di vita.
Noi europei possiamo tutt'al più rivendicare, a giustificazione, il millenario retaggio di cultura e civiltà raggiunte, ma dobbiamo essere disponibili a riconoscere storicamente le grandi risorse ad altrui sottratte e di cui tuttora fruiamo.
Ma è difficile credere che ciò basti a frenare un corso di eventi davanti ai quali l'Europa, con ripensamenti radicali, non solo tenda a ritrovare nuovi equilibri, ma riesca ricoprire un ruolo ed a proporre valori idonei a giustificare una sua consona funzione nella fase storica presente.
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