lunedì 20 agosto 2018

Il ponte Morandi: la fragilità degli uomini o del sistema?

Da Genova ci è giunto un nuovo tragico segnale del patrio declino. Quella città, come ricordano molte testimonianze del tempo, nella quale, negli ultimi mesi di guerra, gli operai osarono sottrarre i macchinari delle fabbriche alle requisizioni tedesche, con il semplice ma rischiosissimo motivo della loro utilità per la rinascita postbellica.

La sciagura del ponte Morandi è doppiamente tragica perché annunciata da circostanze da cui alcuni tecnici, non pochi, avevano saputo dedurre la sua incerta stabilità, ma invano.

Il traffico stesso di quei duecento metri di campata del ponte, provocato dalle migliaia di automobili e centinaia di tir che ogni giorni lo percorrevano, nel corso del tempo, aveva indotto a disciplinare frequentemente l'afflusso degli automezzi e, talvolta, alla sua interruzione.

Ma la sensazione diffusa del suo eccesso di carico non portò i responsabili, diretti ed indiretti, privati e pubblici, della gestione, alla giusta sensibilità del suo incombente pericolo inducendoli ad assumere o invocare più radicali interventi. 

Ora, per l'ampiezza del disastro, in vite umane ed in danni economici, molti di costoro hanno reagito immediatamente reso pubbliche le rispettive giustificazioni del proprio operato.

Se tuttavia è legittima tale prima reazione istintiva, la storia del ponte, esclusa quella della causa finale del suo collasso, è la dimostrazione chiara di un concorso collettivo di colpa, da cui non sarà facile a nessuno di potersi esimere.

Pur dovendo ammettere che l'indeterminatezza delle circostanze, specie ai più attrezzati, gioverà quanto meno al ritardo della giustizia e della sanzione. .         

La vicenda del viadotto Morandi, per le conseguenze già evidenti e per quelle che ne seguiranno, non sarà solo la significativa cartina di tornasole di una somma di reiterati errori della sua gestione.

Essa, nel contempo, sarà sicuramente una fondamentale chiave interpretativa della maturità intellettuale, politica e professionale di tutti coloro che ebbero ed hanno, seppur da pochissimo, una parte in commedia, anzi in tragedia.

Il che confidiamo avverrà, secondo le più rigorose modalità di legge (cioè, auspicabilmente, senza impulsive irruzioni del potere Politico) ma nella parallela ricostruzione storica del processo di privatizzazione delle autostrade (fino allora di proprietà dello Stato) avviato dal 1996 (Governo Prodi).
  
Processo che subito fu riconosciuto come istituzione del regime di concessione del bene pubblico ma che invece ne fu essenzialmente l'antitesi dottrinale.

E che, paradossalmente, trovò una collaterale motivazione di essere ulteriormente accentuato, a netto favore della posizione istituzionale dei concessionari (cioè della controparte privata), con la finalità apparente di fare cassa per lo Stato, migliorare l'esposizione del debito pubblico ed accrescere le condizioni richieste dall'Europa per l'adesione della lira alla moneta unica, l'euro.

Anche per questo, la pubblica opinione non potrà che seguire e partecipare, con il doveroso e massimo interesse, l'evolversi, con piena trasparenza, di questo tragico evento.           

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