domenica 26 agosto 2018

La persistente cecità di chi tuttora non coglie l'assurdità della leonina conversione in euro della lira

Non abbiamo a priori motivi per respingere l'interpretazione di Federico Fubini (Corsera del 25 agosto) del paradosso dell'incoerente procedere del Governo giallo - verde con il crescere costante di consenso, a suo favore, dell'opinione pubblica.

Racconta in effetti lo stimato editorialista, come la prosperità - che gli altri Paesi aderenti all'Unione e l'avvento, tre lustri or sono, della moneta unica, avrebbero dovuto garantire - si è gradualmente trasformata, nella constatazione dei risultati ottenuti, in una sgradevole delusione collettiva.

Anzi, più precisamente, spiega Fubini, si è sviluppato nella psicologia popolare, un complesso di inferiorità dei nostri connazionali, che si sono "sentiti incapaci di adattarsi a modelli superiori, come la Germania ed altri paesi di successo". 

Che ciò sia accaduto poco importa, ribadisce l'editorialista, dovendosi ricercarne la responsabilità "alla mancanza di coraggio e di lungimiranza dei politici e del sistema produttivo, di prepararsi davvero all'unione monetaria, per sfruttane vantaggi e contenerne gli svantaggi".

 Ed è a questo punto che, illusi che Fubini, dopo aver messo il dito sulla piaga, si accingesse ad una giusta prognosi, abbiamo registrato che l'editorialista ha invece confuso la cronistoria degli eventi,  omettendo di individuare l'errore commesso, proprio dal Governo italiano, in conseguenza del   meccanismo applicato per la conversione della lira con l'euro.         

Prosegue, infatti, Fubini: "Dal 1980 al 1998 il valore della lira espresso in marchi tedeschi è più che dimezzato e ciò stesso dimostra quanto lavoro scomodo si sarebbe dovuto fare per adeguare davvero il Paese all'euro in questi anni".

La verità sta appunto all'opposto del pensiero dell'editorialista di Corsera che incorre nel medesimo equivoco commesso da Romano Prodi, (da quest'ultimo candidamente descritto nel suo libro "Missione Incompiuta", Laterza editori) che nel suo schema concettuale ritenne appunto di assumere, ai fini della conversione, il coefficiente di cambio dei listini import - export fra lira e marco tedesco.

Si addivenne, per radicale distrazione di calcolo algebrico, all'adozione del meno appropriato e immaginabile coefficiente di conversione monetaria, appunto con l'adozione del metodo esclusivamente riservato alle operazioni di "svalutazione competitiva".

Infatti nella fusione di una moneta con l'altra, il rapporto funzionale deve stabilirsi dal rispettivo confronto del rispettivo potere d'acquisto delle due monete (o, nel caso dell'euro, della media ponderata di circa la prima decina di monete aderenti).

Quell'errore (con alcuni altri aggiuntivi, seppure non altrettanto gravi) fu e tuttora resta il madornale peccato di origine della moneta unica e che, fintanto che permarrà, costituirà una continua,  incalcolabile e crescente espropriazione del potere d'acquisto italiano e di parte del suo patrimonio.

A parte le guerre, l'errore politico più grave di tutta la nostra storia e tuttora oggettivamente il più grande evento ufficialmente illustrato agli antipodi del rigore dottrinale e della verità fattuale.

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