domenica 14 ottobre 2018

L'omissività dei sondaggi e l'imperfezione lessicale, in campo monetario

Leggiamo da prima pagina di Corsera del 13 ottobre, un articolo di Nando Pagnoncelli che ci riferisce i risultati di un freschissimo sondaggio sull'atteggiamento complessivo dei cittadini italiani nei confronti dell'euro.

Già dal titolo, siamo informati che i nostalgici della lira risultano in calo e che nella percentuale del 60% gli italiani sono favorevoli all'euro.

L'articolo ci dice altresì che la maggioranza degli italiani (54% ) sarebbe favorevole a restare in Europa e soltanto il 25% opterebbe per l'uscita, ma soprattutto che i cittadini favorevoli all'euro sono saliti nell'ultimo anno dal 53% al 61% .

La reiterazione di analoghi sondaggi, di natura monetaria, da parte di giornali e centrali televisive di vario orientamento, è stata costantemente caratterizzata, fra i variegati quesiti proposti agli intervistati, dall'omissione sistematica di quello, fra di essi, certamente più importante.

Alludiamo cioè ad un quesito del tipo: "Valutando il suo reddito complessivo in euro, crede che la moneta unica abbia comportato una differenza - in più o in meno - della sua capacità d'acquisto rispetto al rapporto fissato di 1936,27 lire per un euro?"         

Con l'ovvia ammissione della difficoltà di una risposta consapevole, è indubbio che questo è il punto centrale della valutazione, politica ed economica, dell'introduzione in Europa della moneta unica.

Collateralmente, per entrare nelle modalità di illustrazione adottate dai resoconti ufficiali emessi dalle varie autorità di competenza, sulle oscillazioni del nostro Debito pubblico, è legittimo eccepire sulla correttezza del frequente ricorso a dichiarazioni che enfatizzano un suo miglioramento derivandolo automaticamente da un aumento del Pil.

Il Pil, acronimo notoriamente di "Prodotto interno lordo", è infatti la somma di tutti i beni e servizi di un Paese in un prefissato periodo di tempo, di norma corrispondente all'anno.

Di per sé, tale aumento, non ha rapporto con l'andamento del Debito, che addirittura può aumentare proprio in corrispondenza delle accresciute spese per l'accresciuto volume di attività.

Semmai può affermarsi che, se l'incremento del Pil è percentualmente superiore al deficit di esercizio, si produce un miglioramento del rapporto Debito / Pil , notoriamente stabilito, per i paesi europei, ad una coefficiente massimo accettabile del 60%:.

Coefficiente che, sia chiaro, con la situazione finanziaria strettamente considerata non ha rapporto diretto alcuno.     

Sottolineando infatti che il calcolo del Pil è dottrinalmente basato su due (ma non esclusivi) criteri alternativi,uno sul "valore aggiunto" e l'altro sul "reddito"), è opportuno concludere che tali valori rappresentano una produzione le cui componenti non risultano necessariamente registrate come finanziariamente onorate.   

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