domenica 7 aprile 2019

Le esternazioni, a senso unico, del Presidente J.C.Juncker: cosa direbbe davanti ai dati del F.M.I. relativi all'Italia?

Certo, ormai l'Italia, meglio il Governo italiano, è divenuto il luogo di sfogo e di recupero da frequenti ed inevitabili frustrazioni, dei vertici della politica e dell'economia dell'Unione europea.

Davanti alle recenti esternazioni del lussemburghese Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea, che ha tacciato alcuni ministri italiani, peraltro senza nominarli, di essere menzogneri, è difficile esimersi dal rilevare la volontà esplicita di accusare "in toto" uno stile ed un sistema, quello italiano appunto.

Se la mancata reazione del Governo italiano, per contestare le asserzioni dell'esponente primario della burocrazia, e quindi del potere, nell'Unione europea, implica una ammissione di verità, può senz'altro dispiacere.

Non crediamo tuttavia che sia il caso di scandalizzarsi più di tanto: nell'ammettere la fondatezza dell'accusa di J. Claude Juncker, valga l'osservazione che l'inosservanza della verità è componente quasi connaturale alla condotta dei reggitori della vita dei popoli.

Ma il vero e scandaloso comportamento menzognero dei politici - nell'Europa d'oggi -  non consiste nelle reciproche ingannevoli promesse o nelle infondate giustificazioni del proprio operato.

Al contrario, il sacrilegio alligna nei troppi silenzi, consci od inconsci, con i quali i responsabili della politica europea, hanno gradualmente abbandonato il lascito ereditario dei loro predecessori di circa quindici lustri or sono.

Quei predecessori che conoscevano ed avevano subito sulla propria pelle, le stimmate secolari dei grandi crimini commessi dall'Europa, e seppero interpretare l'immenso cumulo di macerie della seconda guerra mondiale, come il più tragico evento dell'irresponsabilità umana di tutti i tempi.

Quei pochi, con il primo guizzo che partì appunto da un carcere di una piccola isola (Ventotene) di prigionieri politici italiani, intravvidero il riscatto storico nella cessazione definitiva della conflittualità europea, ma nel contesto di un assetto istituzionale federalista.

Un processo che sicuramente imponeva un mutamento politico e culturale che nei settant'anni successivi, accanto alla indiscutibilità dei rapporti pacifici fra gli stati europei, ha purtroppo subito gradualmente una attenuazione irreversibile della nobiltà del suo progetto iniziale.

Lo stesso periodo di pace, divenne l'alibi della contaminazione di tale progetto, mentre la sicurezza  europea era in realtà garantita, ed imposta, dalla divisione politica fra occidente ed oriente, con gli Usa a svolgere il ruolo di gran gendarme.

Nel contempo, le nazioni europee hanno invece soggiaciuto alla crescente attrazione del benessere economico ed al conseguente sforzo, di ognuna di esse, per il raggiungimento del più alto tasso di competitività politica e commerciale.

I comportamenti di tutta la burocrazia europea furono finalizzati al perseguimento, occultamente o meno, di interessi specifici nazionali.

Ma nel contempo, politicamente, i paesi dell'Unione europea hanno violato  ogni schema solidaristico (fenomeno dell'immigrazione, guerre in Africa ed Asia) ed accarezzato  crescenti sensibilità egemoniche (in vetta, soprattutto, il meccanismo assurdo di conversione delle monete nell'euro).

Il progetto federativo fu tacitamente derubricato ad elemento ostativo di una competizione economica che, soprattutto nel nostro paese, comportò il duplice processo di concentrazione della ricchezza ed il decrescere parallelo dei livelli occupazionali, salariali e pensionistici. 

Tutti i signori della politica e della burocrazia europea, compresi coloro che hanno pagato il prezzo più alto di tale regressione istituzionale ed economica, ciascuno coltivando (illusoriamente) i propri interessi, sono risultati indifferenti alla circostanza che nel frattempo si decomponevano i rapporti politici, economici e militari di tutto il pianeta.

Orbene, quale commento esprimerebbe Juncker sull'ultimo comunicato del Fondo Monetario Internazionale, che riporta le variazioni patrimoniali complessive dei paesi dell'euro zona, dal 2001 ad oggi, al netto dell'inflazione ?

Scrive infatti Gian Antonio Stella su Corsera odierno, l'Italia è l'unico paese dell'euro zona a registrare una perdita, valutata intorno al 3%, mentre, al contrario, tutti gli altri paesi aderenti all'euro, registrano plusvalenze complessive, con capofila la Germania (24,9%) seconda la Francia (13,6%) ed ultima della fila positiva, la sorpresa della Grecia (2%).

Ma soprattutto, non sarebbe tempo che tutti i nostri anelanti candidati a conquistare un seggio all'assemblea europea, si rendessero finalmente conto del raggelante errore commesso nel patto di conversione monetaria, causa principale e permanente del tallone d'Achille del nostro Debito Pubblico ?

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