giovedì 28 marzo 2019

La cecità di una assurda conversione monetaria e la sua ipocrita rimozione nazionale

Ci risiamo, con l'allarmante stato dei nostri conti pubblici. Stavolta, non certo per la prima volta, è l'ufficio studi della Confindustria a ricordarlo ed a suscitare un gran clamore mediatico su stampa e televisione.

Il mirino punta il Governo in carica, forse il meno direttamente responsabile di quello che, da alcuni lustri è stato il costante regresso della nostra economia, sul piano dei conti e su quello della capacità produttiva.

Più significativamente dal 2002 (anno dell'introduzione dell'euro nel sistema monetario nazionale) o più precisamente dal 1999 (quando la moneta unica coinvolse subito gli scambi economici internazionali, con mediazione bancaria).

L'errore decisivo risiede proprio nella moneta unica, esigenza in sé valida, ed ha un suo preciso peccato d'origine per le irresponsabili modalità con essa cui fu posta in essere.
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Non esitiamo a ribadire che tutte le criticità principali scaturirono dalla scelta di effettuare la conversione nella moneta unica dell'euro, usando esclusivamente i listini di borsa derivanti dalle operazioni del commercio internazionale ed afferenti alle monete dei paesi aderenti.

Furono invece completamente ignorati i requisiti essenziali delle comparazioni monetarie, identificabili, per dottrina e per logica, con il ricorso ai rispettivi poteri d'acquisto, nel mercato interno ed internazionale, calcolando la media ponderata dei rispettivi flottanti monetari (di tutti i paesi aderenti) e, per maggior rigore, delle velocità di circolazione di ciascuno di essi. . 

Prodi, che come capo del Governo all'epoca, fu l'artefice principale della conversione della lira, commise il duplice errore di accettare il semplice confronto del bilancio import/export, ed insieme  di proporre la massima svalutazione possibile della lira nei rapporti col marco tedesco.

Proposta che fu sornionamente accolta dal collega tedesco Helmut Kohl, come racconta lo stesso Prodi nel suo libro "Missione incompiuta" (Editore Laterza).

Si illuse cioè di avere operato una brillante "svalutazione competitiva", proprio nel momento in cui le monete venivano soppresse, proprio per l'avvenuta unificazione monetaria.

Le conseguenze sono state molteplici: il permanere incessante della espropriazione iniziale,  l'aumento irreversibile del nostro Debito Pubblico, una politica dei redditi obbligata alla compressione dei salari e delle pensioni pubbliche, una diminuzione di capacità produttiva, una crescente concentrazione delle ricchezza nazionale e l'aumento della povertà

Si è generato un massimo di torpore pubblico, da parte della stampa e dell'opinione pubblica, dirottando l'attenzione su aspetti specifici, magari importanti, come l'emigrazione ma non inerenti agli aspetti monetari od ideologici (contro od a favore dell'euro, per principio).

Il tutto senza mai concentrare l'analisi di una conversione della lira basata su un rapporto leonino.   
per la lira, e vantaggiosissima per altri, i tedeschi anzitutto.

In più, con il subconscio pensiero dei dirigenti più irresponsabili, che un debito che continua a crescere diviene sempre meno un debito che verrà pagato

Il che può purtroppo essere vero, con la precisazione di una nefasta conseguenza che il debitore, se Nazione, perde irrimediabilmente autostima ed indipendenza, fino a decadere a paese di servizio.

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