Ad una settimana dalle elezioni del Parlamento europeo, la classe politica del nostro Paese non è in grado di offrire alcuna realistica ipotesi di stabilità politica e di crescita economica.
I partiti dell'intero arco politico, inclusi quelli accreditati delle migliori previsioni elettorali, sono privi di credenziali riconosciute per capacità politica ed amministrativa, né tanto meno dimostrano coerenza di comportamento con i presupposti ideali con cui, recentemente o meno, essi sono scesi in campo.
Non conforta certo il riscontro di analoghe incertezze degli altri paesi che disegnano la mappa della (sedicente) Unione europea, sul rispettivo futuribile.
Situazioni tuttavia assai meno vulnerabili della nostra, come a tutti è noto, per l'ormai risaputa ed evidentissima criticità dei nostri conti pubblici ed il loro previsto ed irrimediabile aggravamento.
Se si aggiunge, da parte di una quotidiana polifonia di voci (la burocrazia di Bruxelles, esponenti politici di vertice della stessa Unione e, con periodica sistematicità, le pagelle delle agenzie di rating) che il nostro Paese viene addirittura additato come punto specifico di vulnerabilità dell'euro su scala mondiale, è lecito asserire che siamo ormai pervenuti al massimo dei paradossi politici attuali.
L'Italia, la cui moneta, nel meccanismo di conversione, fu, su base dimostrativa, la più incredibilmente svalutata, risulta altresì irreparabilmente condannata ad una continua espropriazione del suo potere d'acquisto.
Una espropriazione che è infatti conseguenza diretta di una conversione monetaria basata esclusivamente (ed incomprensibilmente) sugli scambi commerciali fra Italia e Germania e che dimenticò il fattore, dottrinalmente preponderante, della comparazione dei poteri d'acquisto effettivi dei rispettivi due paesi.
Ciò che tuttavia non bastò alla inconscia vocazione autolesiva di coloro che ebbero la responsabilità dei negoziati di conversione nella moneta unica di circa quattro lustri or sono.
A peggiorare l'esito finale, intervenne infatti il grazioso ulteriore ribasso della lira del 4% rispetto al marco, distrattamente assimilata alla stregua di una "svalutazione competitiva", mentre proprio l'avvento della moneta unica aveva di fatto cancellato tale diffusa procedura commerciale.
Una svalutazione aggiuntiva di per sé sufficiente a privare i contribuenti italiani di un potere d'acquisto "annuo" di oltre 50 miliardi di euro ("Intervista a Romano Prodi", ed.Laterza, a cura di Marco Damilano).
Il tacere od il fingere di non riconoscere il carattere leonino del meccanismo di conversione della moneta unica (tuttora incredibilmente spacciato come media ponderata delle monete aderenti) fu ed è non solo mancanza di rispetto della verità politica, ma la degenerazione totale del legittimo interesse nazionale.
E' infatti un atteggiamento che si configura come il peggior abuso di potere di chi lo possiede, perpetrato da tutta la filiera dei Governi succeduti da allora fino ad ora, e quindi l'opposto di ogni forma di "sovranismo" o di "populismo nazionale".
Ma soprattutto investe l'irresponsabilità politica di scelte politiche che hanno portato e tuttora portano l'Italia a posizioni sempre più basse delle graduatorie mondiali.
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