Pur con tutta la nostra attenzione, ed eventualmente pronti ad esprimere le nostre scuse - ove ci fosse sfuggita parte dell'ampia informativa di cui l'opinione pubblica è stata resa edotta -, ma il mosaico della tragicommedia Arcelor Mittal, manca di un tassello.
Dalla vasta messe di considerazioni critiche che variamente si confrontano nel mondo dell'informazione, emerge infatti un vuoto laddove invece sarebbe dovuto apparire la linea di demarcazione delle tesi contrastanti e dei torti e delle ragioni che le controparti citate potranno far valere nella vertenza legale ormai formalmente aperta.
Un vuoto che doveva essere invece colmato dalla sussistenza di una condizione contrattuale che, nell'ipotesi di inadempienza di una o l'altra delle parti in vertenza, avrebbe dovuto garantire, automaticamente, un ristoro patrimoniale a favore della parte antagonista.
Nei grandi appalti internazionali, come è infatti noto, l'impresa che si aggiudica l'appalto, ancor prima di risultare vittoriosa della gara, deve assumere l'impegno formale - in misura penitenziale (quando si calcolano i danni effettivi) o confirmatoria (quando tali danni si valutano preventivamente) - cioè sorretto da garanzie in depositi di denaro o, preferibilmente, da fideiussioni di istituti bancari o assicurativi internazionalmente riconosciuti, in favore della parte contraente.
Sembra invece che, dopo il deposito, presso gli uffici giudiziari di Milano, di un atto dichiarativo di volontà di recesso dal contratto da parte di Arcelor Mittal, i commissari dell'azienda tarantina non possano fare altro che inseguire la controparte, al di qua, ma soprattutto al di là, dei confini legali di propria competenza.
Controparte, quella appunto di Arcelor Mittal, che finora non sembra affatto tenuta a dover remunerare la controparte appaltante, l'azienda tarantina, di tutti i danni che tale recesso evidentemente comporta e comporterà, per costi intuitivamente di notevolissimo ammontare.
Pur con la cautela che abbiamo inizialmente sottolineato, se tale è il quadro delle circostanze in campo, non potremmo altro che esprimere stupore o, meglio, amarissima rassegnazione, per la leggerezza con cui l'appalto, quello appunto dello stabilimento siderurgico di Taranto, è stato concretamente concordato.
Un appalto che implicava, implica ed implicherà, per le modalità della sua interruzione, ripercussioni di immagine, di danni economici e di di credito internazionale per il nostro paese, forse senza uguali.
Senza tacere, in aggiunta, analogie di precedenti esperienze - come quella di una conversione monetaria radicalmente sbagliata- cui questo blog è appositamente dedicato e da lungo tempo, seppure con talune curiose differenze.
Cioè con l'individuazione di molti responsabili, tecnici e politici, nel caso di Taranto, ma con rarefatte responsabilità nel quadro degli errori commessi nell'attuazione della conversione monetaria europea, l'euro appunto.
Ma soprattutto, almeno finora, con vasta e reiterata eco pubblica nel caso della siderurgia, nel quasi totale silenzio, anche negli ambienti più competenti, nel caso dell'euro.
"Almeno finora", come corre l'obbligo di sottolineare.
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