sabato 2 novembre 2019

Poche benemerenze, forse nessuna per Mario Draghi

Non ci riesce di condividere gli encomi largamente profusi in questi giorni per Mario Draghi, per la conclusione del suo statutario periodo quale Presidente della B.C.E. di Francoforte.

Non intendiamo certamente negare le sua qualità di banchiere, né tanto meno l'eccezionalità della sua brillante carriera, in patria ed all'estero, di cui si auspica da più parti, una pronta continuazione a livelli pubblici sempre più elevati, in organismi nazionali ed internazionali.

Il nostro giudizio deriva proprio dalle sue vaste esperienze e dai riconoscimenti ottenuti, italiani ed esteri, da cui era logico attendersi che, proprio dall'incarico di presidente della Banca Centrale Europea, avrebbe saputo scorgere le enormi sperequazioni implicite nella moneta unica, l'euro, scaturita esclusivamente dalla comparazione dell'import - export dei paesi aderenti all'euro zona.

Il suo discorso di commiato di pochi giorni fa ha invece inneggiato alla moneta unica definita un grande successo, grazie a cui "i redditi in tutto il continente, sono sostanzialmente cresciuti, l'integrazione e le catene del valore si sono sviluppate a un livello inimmaginabile vent'anni fa".

Da un finanziere, meglio da un economista di livello mondiale, quale a Draghi indubbiamente compete, sarebbe stato legittimo pretendere una descrizione dello scenario europeo un po' meno ottimistica e più realisticamente accettabile.

Ma soprattutto non può non stupire l'implicita e passiva accettazione di una conversione monetaria, quella dell'euro, travasata acriticamente, già un ventennio fa, con piena legittimazione, nella Banca centrale europea.

Non può non stupire, purtroppo, che come monetarista, Draghi non abbia avuto nulla da eccepire sul meccanismo adottato per dar vita alla moneta unica europea, almeno dal momento in cui è assurto alla carica di presidente della Banca di Francoforte che, della moneta unica, è appunto regolatrice ed emittente.

Eppure è cosa manifesta che l'euro è stato concepito secondo uno schema progettuale abissalmente distante dai principi economici universalmente accettati: cioè di essere stato esclusivamente ispirato  ai coefficienti di cambio delle transazioni commerciali dei paesi aderenti.

Una fusione monetaria di due o più paesi (salvo la circostanza di una genesi effettuata "manu militari") non può infatti prescindere - né dottrinalmente, né aritmeticamente, né contabilmente - dai rapporti del potere d'acquisto della moneta di ciascuno dei paesi aderenti, oltreché ovviamente ponderati secondo le rispettive masse monetarie (e relative velocità di circolazione).

Naturalmente, nel potere d'acquisto di qualsiasi moneta, è parte componente anche il reddito del commercio con l'estero, che ne rappresenta certamente una notevole porzione ma, generalmente, tutt'altro che preponderante.

E' istintivo desumere che tale metodologia abbia comportato ripercussioni inevitabili, ma ingiustificate, nelle economie dei paesi delle monete convertite nella moneta unica, con danni o benefici di anche rilevantissima entità.

Un calcolo di facilissima, anzi quasi obbligata, effettuazione da tutti coloro, "in primis" la B.C.E., che ne hanno tutti i dati disponibili.

Che tali sperequazioni siano accadute era inevitabile, dato lo schema erroneo che fu adottato nel 1998: come appare recentemente comprovato anche da fonte tedesca, ("Cep studi " di Friburgo, febbraio scorso), che ha calcolato, induttivamente, ingentissimi guadagni per la Germania e ingentissime perdite per l'Italia, semplicemente contabilizzando i dati economici nello "status quo ante" la nascita dell'euro.

Ne consegue pertanto che nemmeno la rinomata operazione di "quantitative easing" possa giustificare il particolare encomio di "salvatore dell'euro".

Tale operazione, con approvazione preventiva del board dei governatori delle banche centrali, dei paesi dell'euro zona, ha suggellato una particolare visione keynesiana, già storicamente collaudata, della ovvia priorità del mondo bancario per operare gli interventi finanziariamente opportuni.

Cioè una misura per attivare - con stampa di carta moneta per l'ammontare di duemila cinquecento miliardi e data in prestito a costo zero alle banche dell'euro zona - l'acquisto coordinato dei rispettivi titoli di stato, nel rispetto delle scadenze stabilite: ma che in definitiva ha accentuato le sperequazioni sopra menzionate.

Che infine sia stato emotivamente commovente la sua celebre dichiarazione "The ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro" ( "La BCE è pronta a far ciò che è necessario per conservare l'euro") non si può che compiacersene.

Ma con l'osservazione che, nel contesto del "quantitative easing", abbiamo potuto riscontrare solo il normale rischio professionale del governo di un importantissimo istituto bancario.

Nessun atto di eroismo era stato necessario né tanto meno consumato: in definitiva nulla di più che una doverosa manifestazione di buona volontà. 

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