Quanto siano reali le intenzioni del segretario del Pd, Nicola Zingaretti, in ordine alla palingenesi del suo partito ed alla sua schietta autenticità, non sarebbe corretto dubitare.
E' certo tuttavia che non possiamo comunque illuderci sul loro esito.
Zingaretti incontrerà difficoltà enormi nel tentativo di un travaso significativo di gruppi sociali e di esperienze nuove nel partito.
Non potrà esimersi dall'affrontare un preliminare esame critico della paralisi ideologica, politica e parlamentare e del tutt'altro che soddisfacente bilancio complessivo della sinistra e del centro, nell'arco di tempo della nostra storia repubblicana.
La debolezza della sua posizione è comparabile a quella di un generale che dopo aver subito numerose sconfitte, sperasse di risolvere le sue difficoltà, dichiarando, come fausta novità, di arruolare nuove truppe.
Senza spiegare cioè, ai volenterosi soldati che rispondessero al suo appello, quali obiettivi essi sarebbero chiamati a perseguire, senza preventiva autocritica ed individuazione dei rimedi per evitare i rovesci già notoriamente subiti.
I grandi errori e le colpevoli inadempienze - uscendo dalla metafora militare - imputabili ai partiti che direttamente o indirettamente sono confluiti nel Pd, nella fase storica della prima come della seconda repubblica, sono infatti ravvisabili, per il loro stesso carattere recidivante, con indiscutibile nettezza.
Alludiamo precisamente alla negligenza politica di tutti i partiti, ma più significativamente di quelli che storicamente ne erano stati gli ideatori, dell'applicazione di norme costituzionali che, per loro semplice formulazione, hanno nobilitato la nostra Carta fondamentale, elevandola al rango di Costituzione più democratica del mondo.
Norme relative alla vita dei sindacati (art.39), della democrazia nei luoghi del lavoro (art.46), della democrazia nella vita dei partiti (art.49), del rapporto fra uomini e donne (art.51): rimaste invece senza attuazione, dopo oltre 70 anni dalla nascita della Costituzione.
Da tale insensibilità politica sono gradualmente scaturite labilità comportamentali che hanno rattrappiti i partiti ed i loro leader, inducendoli sempre meno all'elaborazione di proposte politiche ma piuttosto alla ricerca della propria autoconservazione.
Si è spenta la lucidità di interpretazione delle novità storiche emerse dopo la fine della guerra fredda e la crisi definitiva del sistema sovietico.
La stessa impostazione istituzionale dell'Unione europea, imperdonabilmente condivisa di fatto dai nostri governi (di ogni orientamento politico), ha di fatto, quasi clandestinamente, archiviato il presupposto federalista, come fondamentale elemento ispiratore. .
Quel presupposto, storicamente riconducibile al Manifesto di Ventotene, che doveva rappresentare invece la legittimazione storica del superamento definitivo di conflitti millenari dell'antico Continente. .
Ma, soprattutto, solo il federalismo poteva garantire la compattezza politica necessaria dell'antica Europa, a fronte delle nuove egemonie mondiali americane ed asiatiche, come al tragico sorgere e susseguirsi di incontenibili trasmigrazioni di massa.
A questa sequenza di cecità (le inadempienze costituzionali e l'archiviazione federalista) non ha potuto certo giovare o porre rimedio una compartecipazione all'unificazione monetaria (obiettivo in sé meritorio) ma perseguito con un meccanismo di conversione nell'euro, dei paesi rispettivamente aderenti, che grida vendetta sul piano dottrinale, statistico e ragionieristico.
Basti sottolineare l'assurdità evidente di unificare quasi venti monete con il criterio esclusivo del raffronto dei listini di borsa dell'import export rispettivo.
Quale dunque potrà essere la credibilità del segretario del Pd di poter rinnovare un partito che di tutte queste criticità è tranquillamente immemore ed assai spesso è stato un diretto responsabile?
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