lunedì 30 dicembre 2019

La moneta unica ed una generalizzata sperequazione europea.

   Come è noto, l'euro, la moneta unica europea, fu adottata, nella fase iniziale, da quei paesi che prima della fine del 1997 hanno dichiarato di conformarsi ai parametri fissati per ciascun paese dal Trattato di Maastricht.

   Anzitutto, e principalmente, nel costante rispetto del limite superiore del debito pubblico di ogni paese fissato al 60%  del Pil e il rispettivo deficit di esercizio dell'anno solare mantenuto sotto il 3% del Pil rispettivo.

   I Paesi che aderirono alla moneta unica già nella fase iniziale furono 12 e per la precisione furono i seguenti: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo e Svezia.

   Danimarca e Svezia rimandarono il loro ingresso per volontà dei rispettivi governi, che finora è mancato, mentre la Gran Bretagna, notoriamente ha consumato la sua Brexit, con l'uscita definitiva dall'Unione politica europea.

   Si aggiunsero invece Slovenia (2006) e le due isole di Malta e Cipro (2007), per la riconosciuta soddisfacente conduzione politica, che introdussero, contemporaneamente, la moneta dell'euro.         

   Successivamente si ebbe l'adesione di Slovacchia (2009), di Estonia (2011) e da ultimo di Lettonia.

   E' in certa misura (seppur non completamente) comprensibile che i valori delle monete rispettive dei paesi sopra elencati ed entrati tardivamente rispetto a quelli accordi governativi nel 1998, non abbiano significativamente influenzato il coefficiente di conversione nell'euro adottato inizialmente.

   Quale sia stato il peso relativo della produzione e del debito pubblico dei paesi tardivamente aderenti all'euro, non sappiamo, ma è certo che lo scombussolamento monetario reale di tutta l'euro zona ha dovuto subire un ulteriore sussulto, pur se non paragonabile a quello dell'adesione dei 12 paesi primi aderenti e sopra menzionati.

   Ciascuna delle monete aderenti dall'inizio, è infatti entrata nell'euro secondo il meccanismo di conversione basato (in netto contrasto con i fondamenti dottrinali) sul valore di cambio risultante dalle transazioni commerciale fra i rispettivi paesi, registrate dai listini di borsa rispettivi.

   Che poi, il nostro paese, che più di ogni altro aveva fatto ricorso, sempre in rapporto alla Germania, alla "svalutazione competitiva", abbia addirittura accentuato tale svalutazione per scelta richiesta stessa del Governo (maggio 1998, presidente R. Prodi e ministro del tesoro A.Ciampi e per controparte a ) - dovuta ad una probabile distrazione concettuale, mai più riconsiderata e soppesata - è stata per gli italiani una ulteriore ed onerosissima aggravante.     

   Tale meccanismo comunque, secondo differenti proporzioni, ha generato sperequazioni fra le monete dei paesi aderenti, in un quadro di vantaggi e svantaggi a seconda del coefficiente adottato.

   Vantaggi e svantaggi (di ammontare incalcolabile) che si sono dispiegati dal momento medesimo della loro concreta applicazione, con la intuibili conseguenze del loro perdurare e che si protrarrà fatalmente fino a quando il meccanismo della moneta unica non verrà eventualmente sottoposto a revisione.

   Cioè con profitti (più o meno cospicui) per le monete (più precisamente per le monete dei loro detentori) dei paesi che hanno ottenuto il loro ingresso nell'euro, sopravvalutando la loro moneta, in termini di aumento del rispettivo potere d'acquisto precedente alla data di ingresso.

   E, specularmente, con perdite (più o meno elevate) per quei paesi (più precisamente per i loro detentori) che hanno pagato l'ingresso nell'euro deprezzando la loro moneta, in termini di suo diminuito potere d'acquisto precedente all'entrata nell'euro.

   Ma con una importante considerazione aggiuntiva, di grandissimo interesse che, tuttavia almeno gli atti ufficiali non hanno registrato: l'omissione di ogni rilievo attinente alla composizione delle masse monetarie di ogni paese aderente in termini quantitativi ed alla rispettiva velocità di circolazione.

   Per chiarire il concetto, con un quesito che proponiamo ai nostri lettori: perché non venne minimamente considerato il fattore quantitativo delle masse monetarie che venivano a fondersi nella moneta unica?

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