mercoledì 5 ottobre 2016

Ipotesi interpretative di vecchie e nuove strategie dell'attuale situazione monetaria globale: 1) le monete dell'economia occidentale

1) Le monete dell'economia occidentale

Non sapremmo ricordare storicamente una fase dell'economia internazionale caratterizzata, non solo da una vasta liquidità, ma soprattutto da una tendenza che sembra aver contagiato, a vario grado, tutte le grandi centrali di emissione di tutto il mondo, di Russia e Cina comprese.

Siamo tuttavia in grado di stabilire che tale imprevista congiuntura internazionale, ha avuto una spinta iniziale ravvisabile, quasi con certezza, nella Federal Reserve degli stati Uniti, la cui risposta alla crisi dei "sub prime" americani nel 2008 consistette nella decisione di emettere un volume di carta moneta di dollari il cui ammontare fu pari al controvalore di circa 4.000 miliardi di euro.

Siamo invece incerti nel soppesare se le successive analoghe manovre degli altri Istituti centrali emittenti moneta siano state una reazione timidamente imitativa oppure una risposta meditata ad un presunto tentativo (o bluff) americano di inflazionare i mercati monetari occidentali e scaricare su di essi una parte della sua crisi.  

Comunque sia, il passo iniziale americano diede spunto e poi indusse a realizzarne l'imitazione secondo questa sommaria elencazione: la Banca d'Inghilterra (un ammontare di sterline per un controvalore di 500 miliardi di euro), la Banca Centrale europea (2.000 miliardi di euro) e Tokio (un ammontare di yen per un controvalore di circa 3.000 miliardi di euro).

E' tuttavia possibile cogliere alcuni dettagli, intrinsecamente contingenti, ma interpretabili come favorevoli ad una politica monetaria ed economica globale, secondo interessi essenzialmente nazionali, Unione europea compresa, a dispetto della retorica della solidarietà genericamente ostentata nelle pubbliche ed unitarie manifestazioni (esemplare quella recente di Ventotene).

E' utile sottolineare, in premessa, che la grande massa di liquidità, in tutti i mercati principali, abbia seguito percorsi molto controllati e non si è tradotta in aumenti corrispondenti della capacità di spesa delle masse consumatrici.

L'ampiezza di disponibilità è rimasta fondamentalmente strumento di speculazione senza rischio che gradualmente ma poi con notevole speditezza ha fatalmente determinato, nel mondo interbancario, un prezzo tendente allo zero e nei rapporti fra Istituto centrale e banche (o fra banche e privati risparmiatori) un interesse negativo, che è quasi il corrispettivo della custodia del denaro altrui.

La crescita, peraltro limitata, dei consumi negli Stati Uniti è legittimamente attribuibile ad una più accesa capacità di iniziativa del loro sistema imprenditoriale e capitalistico, ed assai meno che ad un aumento proporzionale di disponibilità della massa monetaria a livello individuale.

Gli stessi indici produttivi statunitensi hanno trovato il loro impulso maggiore in un crescente indebitamento statale ma assai ben bilanciato da forti progressi nelle tecnologie produttive, con il grande slam (ma anche ecologicamente pericoloso) della fissione scistosa e la corrispondente conseguita maggior autonomia energetica.

Sul piano politico, peraltro, una minor dipendenza Usa dai grandi produttori mediorientali della materie prime tradizionali  (gas e petrolio) e dalle obbligate consonanze con i loro regimi: il che ha significato il declino della lunga fase egemonica del petrodollaro.

Non sembra fuori luogo annotare che tali circostanze - la possibile rottura dell'asse "medio oriente (soprattutto Arabia Saudita) ed Usa" - possono essere state potente fomite di crescenti visioni teologiche spietate, sanguinarie ed ultra radicali, non facilmente riconducibili ad una strategia di uso politico della religione.      

Al di là della costa occidentale americana, il Giappone, un tempo la seconda nazione industriale e finanziaria del mondo (decenni '70 e '80), stenta a ritrovare sue specifiche primazie dopo il lungo periodo di paralisi seguito alla crisi finanziaria con il concomitante declino della sua forza industriale.

Le cui cause sono tuttavia solo parzialmente intrinseche a fatti e sviluppi interni politici od economici della nazione del Sol Levante.

In realtà, il Giappone, da alfiere politico ed economico qual'era del mondo occidentale, ha dovuto affrontare una fase storica con il definitivo emergere (Cina) e riemergere (Russia) di due stretti vicini che sono due potenze mondiali globali, sul piano economico e militare.

Quella Cina e quella Russia, nei cui confronti nel precedente secolo e mezzo, il Sol Levante era sempre riuscito a prevalere (invasioni reiterate della Cina fino al 1939 e vittoria definitiva nel conflitto, a cavallo del 1900, con la Russia, a Port Arthur).
 
Al di qua dell'Atlantico, invece, la crescita di liquidità (incarnata essenzialmente nella politica del Quantitative easing) ha avuto una differente dilatazione: più ampia nella zona euro,(circa duemila miliardi di euro), più contenuta nella zona sterlina (anche perché il Regno unito ha subito per molti mesi le incertezze della sorte della Brexit).

Orbene, è emerso significativamente, almeno nell'euro zona, e sicuramente in Italia, il fallimento di quello che ufficialmente era pubblicizzato come lo strumento più efficace per rovesciare uno stato generalizzato di deflazione, effettiva o latente.

L'obiettivo di una crescita inflazionistica fino al livello del 2%, considerato sintomo ottimale dell'aumento dei consumi, risulta completamente mancato e con esso il ritorno attraente del profitto e la riattivazione del ciclo di ripresa produttiva.

Mentre queste riflessioni trovano espressione, la notizia dell'ipotesi di una interruzione dell'iniziativa del "Quantitative easing", avrà già suscitato un vasto arco di stati d'animo in tutte le Piazze d'affari del pianeta, ma con riverberi accentuati in Europa e, con qualche elemento d'angoscia aggiuntivo, soprattutto in Italia.  

Ammesso, infatti, e non concesso, che la politica inflazionistica  possa essere considerata efficace a livello sistemico (ciò che non appare dimostrato, almeno finora), è fondato affermare che essa possa tutt'al più giovare per poche e privilegiate talune categorie ad alto livello.

E che in questo possa ravvisarsi una coerente politica del capitalismo senza patria e che ha già trovato nell'euro, nel "fiscal compact" e  persino nel "bail in", dal punto di vista della Germania, i suoi successi più compiuti.

(Continua...)          

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