giovedì 27 ottobre 2016

Il progredire lento ma incontestato della radicale e visibile criticità della conversione monetaria

Il secondo convegno pubblico di cui sono apparse e tuttora appaiono le effigi in questo post, ha registrato un netto consolidamento della nostra versione negativa del meccanismo di conversione della lira.

Quella conversione, precisamente, che questo blog ha pubblicizzato come ruolo primario della sua stessa esistenza, ormai prossima al suo secondo anno di vita.

Nel quadro di una disamina che contemplava, come elemento ispiratore, l'evento del giugno scorso, concretatosi nelle decisione del Regno unito di votare in favore della Brexit, la decisione britannica, in tutti gli interventi al convegno, è stata comparata alle ripercussioni già accadute o
di futuro accadimento, dal punto di vista del prezzo pagato dagli italiani.

Con dotti argomenti il prof. Carlo Giannone, (docente di Scienza delle finanze alla Sapienza che sostituiva il collega Vincenzo Russo, indisposto), ha per esempio illustrato vantaggi e svantaggi finanziari, impliciti nella Brexit, che si ripercuotono ora ed in futuro su ogni paese dell'unione.

Ma per quanto non trascurabili le cifre esposte divenivano irrisorie se confrontate al sicuro danno danno (per diverse centinaia di miliardi) subite dal nostro paese per la leonina conversione della nostra vecchia moneta con l'euro.

Il professor Giannone non ha infatti eccepito il calcolo per cui, anche minimizzando le ipotesi della svalutazione della lira (per esempio scendendo da 990 alle 950 lire per 1 marco) come ciò comportasse ogni anno (dal 2002 fino ad oggi) una minor perdita di potere d'acquisto subito dagli originari percettori di reddito in lire.

Sarebbe bastata quella piccola differenza, per realizzare una minor perdita d'acquisto di circa il 5% sul Pil italiano (al netto degli introiti dell'import export), pari ad una cifra che lambisce i circa 75 miliardi, per ogni anno dal 2002 fino ad oggi: per un complessivo ammontare di oltre 1.200 miliardi di euro, cioè la metà del nostro Debito pubblico attuale.

Senza contare le incalcolabili e depressive conseguenze sulla dinamicità di tutto il nostro sistema economico e trascurano che il raddoppio del nostro debito pubblico di questi trascorsi tre lustri è avvenuto pur potendo giovarsi di lunghi periodi di basi tassi di interesse e di deprezzamento dei costi energetici.

E parimenti, riteniamo, che l'economista Nino Galloni, nella sua netta denuncia dell' obiettivo, internazionalmente perseguito, di far regredire l'economia italiana dal novero di grande paese manifatturiero, possa convenire che la politica monetaria europea abbia ampiamente cooperato allo scopo.

Anche dal secondo convegno, ugualmente aperto a tutti (soprattutto invitando i presunti più convinti assertori di una politica monetaria oggettivamente autolesiva) possiamo trarre un sempre più consolidato convincimento per le nostre tesi e soprattutto alla prosecuzione del nostro intento.  

Nessun commento:

Posta un commento