domenica 11 dicembre 2016

L'esito del Referendum del 4 dicembre, come ipotesi possibile di eterogenesi dei fini

                                     L'interpretazione del verdetto referendario

Il referendum sulla Riforma costituzionale che ha diviso il paese, quando (certamente non subito) sarà archiviato, difficilmente sarà accompagnato da note celebrative.

E' possibile tuttavia che esso possa essere interpretato come un punto di svolta positivo della nostra democrazia.

Per la rilevanza costituzionale del tema proposto, l'elettorato italiano è infatti stato chiamato ad una consultazione pubblica, con i caratteri, emotivi e generazionali, di uno scontro intestino.

Il suo esito finale ha segnato tuttavia una legittimazione della dimensione referendaria, come l'unica possibile alternativa di fronte ad una fase di crisi ideologica prima che politica

E' infatti accaduto che il Referendum, indetto per una modifica di un numero rilevante di articoli della Costituzione, al di là della fondatezza dei suoi motivi ispiratori, ha sicuramente toccato corde sensibili della pubblica opinione tutta.

L'elettore è stato istintivamente sollecitato a pensare che gli articoli modificati erano troppi per non risultare intrinsechi allo schema originale della Costituzione ed ai suoi stessi principi fondamentali; di conseguenza, la riforma proposta ha finito per assumere l'apparenza, più che di un mutamento d'abito, di una mancanza di rispetto.

Ora, sul piano politico soprattutto, la divisione netta del paese (partecipe in misura inattesa) e le dimissioni del capo del Governo, annunciate subito poi congelate su richiesta del Presidente della repubblica, si sono formalmente concretate.

Era inevitabile, dopo la fallita approvazione popolare della riforma costituzionale, sancita in misura imprevista (quasi il 60%), da una presenza elettorale elevata (oltre il 65% degli aventi diritto), rispetto agli ultimi standard partecipativi.


                                     Conseguenze economiche del referendum

Sul piano concreto, contrariamente alla previsioni, richiamate dai fautori della riforma, nell'ipotesi di sua repulsione, non si sono verificate le pronosticate ripercussioni negative sulla borsa.

Neppure la caduta del 10%  subita venerdì u.s. dal titolo del "Monte dei Paschi", ed in sequenza di altri titoli bancari, contraddice a tale interpretazione.

Il pesante ribasso è infatti riconducibile al negato accoglimento della richiesta, dal "Monte dei Paschi" avanzata alla Bce, di prorogare, dal 31 dicembre fino al successivo 20 gennaio, la verifica di fattibilità del progetto (commissionato alla banca d'affari americana JP. Morgan) finalizzato ad un apporto in conto capitale, in favore della banca senese, calcolato per l'ammontare di 5 miliardi di euro.

Tale diniego è in realtà spiegabile con una serie di valutazioni, inerenti specificamente alle condizioni patrimoniali e finanziarie del Monte dei Paschi, ben lontane da presupposti di redditività credibili ed idonei a rendere finanziariamente attrattivi investimenti di tale entità.

La situazione del paese è comunque intrinsecamente debole e il giusto atteggiamento sta realisticamente nella consapevolezza che il sistema creditizio complessivo è esposto ad ogni soffiar di vento ed alle manovre della speculazione internazionale.

Asserire che un differente risultato del Referendum, in particolare un esito chiaro a favore degli assertori del "Sì", avrebbe potuto rovesciare i connotati economici della nostra situazione economica è razionalmente - ma non eticamente - giustificabile come una spinta propagandistica che, nei fatti, se ha funzionato, non è comunque stata sufficiente.


                                     Le conseguenze pratiche del dopo referendum  

E' purtroppo incerto il quadro politico complessivo, non potendosi prevedere quali conseguenze e quale nuovo governo, con presumibile incarico di approntare leggi elettorali, ispirate alle sentenze della Consulta in materia o, come alcuni pretendono, prescindendo da esse.  

Aspetti istituzionali a parte, ce ne danno avvisaglia gli organismi europei che per bocca di Yuncker (Presidente Commissione europea), hanno richiamato, ancora una volta, le criticità del nostro Debito Pubblico e la necessità di provvedervi.

Altrettanto od anche più impellenti si pongono i tempi di soluzione delle crisi bancarie italiane in deficienza di liquidità fra cui torreggia, per le sue dimensioni di storica e terza banca italiana, quella già prima menzionata del "Monte dei Paschi" di Siena.

Specificamente per quest'ultima, impallidendosi l'eventuale partecipazione di gruppi capitalistici e fondi finanziari stranieri (a cui doveva provvedere l'americana J,P. Morgan), si rafforza sempre più l'ipotesi di un intervento pubblico del Tesoro, finalizzato all'acquisto di obbligazioni del "Monte dei Paschi" in mano privata, per convertirli in azioni.

Di fatto, dallo stato economico e politico dell'arte, per effetto del referendum può essere soprattutto deducibile che la strada maestra della nostra ripresa può solo essere identificata da una analisi oggettiva dei molti errori compiuti, da noi e da tutti i paesi dell'unione.

Siamo retrocessi a vittime rassegnate di una sorta di sindrome autolesionista che ci ha reso imbelli di fronte all'abbandono di ogni principio federalista.

Siamo parimenti stati inconscia preda, per incredibile cecità, di fronte ad un meccanismo di conversione della nostra moneta, la lira, che ha comportato una incredibile perdita, di valore incalcolabile, del nostro potere d'acquisto, il cui prezzo continuiamo a sopportare, a nostra insaputa.    
La crisi politica del governo, in corso in queste ore, al di là della scelta di un nuovo Presidente del consiglio o di una riconferma del dimissionario Renzi, non modificheranno le criticità della situazione.

Entrambe non gioveranno a quel salutare bagno di autocritica e di coraggio della denuncia della nostra subalternità internazionale, di cui il referendum è, stato magari in modo disordinato ed istintivo, un efficace messaggero, sul piano politico, economico e sociale.


                                        I rapporti dell'Italia con l'Europa

Tutti questi frangenti, è inevitabile, avranno difficilmente il sostegno, almeno psicologico, degli organismi competenti europei, nei cui confronti assai poco ha giovato la strategia del nostro capo del Governo.

Matteo Renzi ha infatti accompagnato la sua campagna referendaria con frequenza di contestazioni nei confronti del Consiglio Europeo, che ha reagito anche con espressioni di scarso garbo diplomatico (ricordasi il "me ne frego" di Yuncker alle proteste italiane sull'indisponibilità sua ad una maggior flessibilità nei confronti del nostro debito pubblico).

Si congettura che Renzi si attendesse, dalle sue reiterate rimostranze, più che l'accettazione positiva europea, il maggior consenso elettorale italiano nel referendum.

Vero o no che tale fosse lo scopo, il risultato è stato quello che è stato.

A questo punto, poco ci possono soccorrere i dati aggiornati dell'Istat che raccontano un crescente peggioramento del grado di benessere delle famiglie italiane o, più precisamente, di un processo vero e proprio di loro costante pauperizzazione.

E' questo anzi il punto critico, vero e proprio vulnus della politica monetaria europea, anzi dell'economia nella sua piena complessità, che potrebbe rendere efficace una posizione italiana ferma nel denunciare un errore tecnico d'origine (vedasi la pagina "Perchè questo blog") che,se non corretto, non andrebbe a vantaggio di nessuno, inclusi i teorici beneficiari.

Quell'errore di conversione monetaria commesso, sicuramente per la lira, che comportò una espropriazione illegittima a nostro svantaggio, un aumento conseguente di debito pubblico ad un livello che una corretta analisi potrebbe dimostrare ormai irrimediabile.

Saggezza vorrebbe che di tale situazione si rendessero coscienti gli stessi partners europei, quelli tedeschi, per due motivi in modo particolare.

Valga anzitutto il ricordo di quello che essi stessi giustamente seppero chiedere ed ottenere, negli anni 50 del secolo scorso, cioè la cancellazione dei debiti di una guerra da loro provocata, anche e forse soprattutto per l'impossibilità di farvi fronte.      

E per il resto, è impossibile disconoscere che il regresso italiano non può trovare spiegazione se non in una radicale causa che ha coinvolto tutti gli aspetti della vita italiana, sul piano della produzione, del sistema del welfare, dell'impoverimento progressivo.

Confessiamo di ignorare se altri paesi, della zona euro, abbiano subito una espropriazione di ricchezza paragonabile alla nostra: il denunciarlo da parte nostra, potrà essere automaticamente strumentale anche sotto questo profilo.

Diversamente, le peggiori forme di populismo, troveranno agevolmente la strada del loro facile progredire.

Ed il loro progresso soffocherà i residui autentici motivi ispiratori di quel residuo di convivenza fra i popoli, di cui l'Europa potrebbe ancora illudersi di essere protagonista in un mondo che cambia.

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