Apprendiamo che l'incontro fra la cancelliera tedesca Angela Merkel ed il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha registrato accordi parziali, in ambito commerciale e militare, e profonde diversità di opinioni sulle politiche dell'immigrazione.
L'elemento più sconcertante del colloquio fra i due statisti sta tuttavia nell'essersi concluso senza il suggello consueto di una loro stretta di mano.
La freddezza di tale rappresentazione scenica è il significativo messaggio di superamento di una fase storica, quella postbellica o della "guerra fredda", caratterizzata da rapporti di amicizia costante e consolidata o dal loro contrario.
Grandiosi tentativi politici unitari, come l'Unione europea, marcano paradossalmente il ritorno a diversità di politica estera di stampo nazionalista, come le vicende recenti di Germania, Francia, Olanda ed Inghilterra stanno invece eloquentemente a dimostrare.
Fa eccezione invece il nostro paese che, dopo l'inconsulto prezzo pagato per l'adesione alla moneta unica, conseguente ad una indebita svalutazione della nostra lira, appare sempre più incapace di elaborare una politica estera autonoma e conforme ai propri legittimi interessi.
Secondo una declinazione autenticamente patriottica, non certo di nazionalismo egemonico.
La rinuncia alla nostra sovranità monetaria, con il duplice pedaggio rappresentato dalla forzata cessazione di ogni ipotesi strategica di svalutazione competitiva, ha, non solo apparentemente, generato una parallela espropriazione di nostra sovranità politica complessiva.
Ironicamente, proprio il presidente Trump ne illustra frequentemente le coordinate, reiterando l'accusa alla politica commerciale europea di essere fondata essenzialmente sulla svalutazione dell'euro (da lui stesso allusivamente definito come moneta tedesca).
Mentre Angela Merkel può contrapporsi dignitosamente al presidente americano in tema dei diritti universali degli immigrati, i nostri governi non sanno rivendicare altro che balbettanti ed inefficaci richieste di una interpretazione flessibile dei nostri bilanci: al solo fine peraltro di un aumento fatale del nostro debito pubblico.
Senza alcuna nostalgia storica dell'ispirazione nazionalistica della politica estera, occorre dire tuttavia che il tacere costante del sopruso monetario di cui il nostro paese è risultato vittima, non può che condurci, anzi ad accentuare uno stato di dipendenza, estera ed interna.
Basta infatti pensare a quali e quanti segmenti fondamentali della nostra stessa economia produttiva (chimica, meccanica, digitale, bancaria ...) si trovano o si accingono a cadere in mani straniere.
E' ardito pensare che l'Italia sia tuttora incapace di quei sentimenti di indipendenza che sono il retaggio primario di ogni grande o piccola comunità libera?
Nessun commento:
Posta un commento