venerdì 24 marzo 2017

Europa: il compimento del sessantesimo anno, come anniversario di delusione generalizzata. Ma anche di unica realistica prospettiva.

La grande mobilitazione di polizia prevista per sabato prossimo nella capitale, giorno di celebrazione del 60° anniversario dei trattati europei rischia di essere l'unico elemento di coerenza che sarà possibile registrare.

Retorica a parte, che sarà comunque la parte preponderante della celebrazione, non si verificherà alcun altro moto di espressione collettiva capace di suscitare uno spunto di ottimismo nel futuro europeo come destino comune.  

Eppure l'Europa aveva ed ha un patrimonio storico e culturale in grado di rivedere criticamente gli errori e le scelte compiute da quando, ancora molto vicini agli esiti nefasti della seconda guerra mondiale, nacque, trovando gradatamente ampio credito, lo storico progetto degli Stati Uniti d'Europa.

Fu il lungo periodo di pace, esperienza mai prima storicamente verificatasi nel nostro antico continente, marcato soprattutto da uno sviluppo economico senza eguali che indusse la psicologia europea a dimenticare la tragedia bellica da cui emerse il suo stesso concepimento.

Ogni popolo europeo, indifferente agli accadimenti nel resto del mondo ed ai grandi conflitti sociali di Asia ed Africa, interpretò la guerra fredda come comoda occasione (cioè il presunto e gratuito scudo militare Usa) per ritrovare e rivivere le tracce seducenti dei propri trascorsi splendori, ma anche a rimuovere le tragedie che ne furono il prezzo fatale.

Ne emerse di fatto l'attitudine astuta del piegare l'ideale federalista ad una attraente occasione di patti fra gli stati, a seconda delle varie e sempre più divergenti convenienze.

Ogni presupposto federalista venne accantonato ed i trattati che seguirono divennero sempre più strumento dei rispettivi interessi nazionali e sempre meno convergenti al comune interesse europeo.

Abbiamo sperimentato un "fiscal compact" calato in un quadro fiscale diverso per ogni paese aderente.

Ci arrovelliamo con la moneta unica calcolata con meccanismi di conversione monetaria che hanno offeso i principi stessi della dottrina e della statistica.

Dobbiamo subire una politica dell'immigrazione disgiunta da ogni altrui ragionevole solidarietà.

Ci scopriamo subalterni ad una burocrazia psicologicamente lontana e concettualmente incomprensibile.

Siamo attoniti davanti a un consesso europeo di parlamentari, privi di ogni capacità di costruttiva, o comunque visibile, interlocuzione.

Non si capisce nemmeno bene il perché del progressivo allargamento dell'Unione, soprattutto ai paesi ex blocco sovietico, Polonia in primis, dal cui stentato dialogo domani, giorno del 60° anniversario europeo, potrebbe addirittura scaturire il divieto ad una dichiarazione politica comune.

Eppure, o almeno è nostro fervido auspicio, l'idea di una Europa autenticamente unita è tuttora l'elemento positivo caratterizzante per questa piccola parte di mondo da essa geograficamente rappresentata.

Almeno lo è per gli europei: purché essi, dopo i grandi contributi millenari di pensiero razionalista, di aspirazione al trascendente e di elaborati nobili principi morali, riescano a disciplinare politicamente il proprio egoismo e soprattutto impediscano alle oligarchie dirigenti di non oltrepassare mai i confini dell'avidità, di ricchezza e di potere..    

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