Ora non è più soltanto l'ammontare del Debito Pubblico a funzionare da deterrente, nel mondo della finanza internazionale, per scoraggiare sostegni ad iniziative italiane di un qualche grado di rischio superiore al consentito.
Come ulteriore criterio di valutazione della compattezza complessiva del sistema Italia, interviene infatti specificamente l'ammontare dei crediti che banche ed imprese nostrane indubbiamente devono registrare nei loro bilanci come classificabili di incerto futuro realizzo.
Quelle voci dello Stato patrimoniale degli Istituti bancari che, nel lessico imprenditoriale, vengono definiti come con l'acronimo NPL ("Not Performing Loans": "prestiti di incerto realizzo", n.d.r.) e quindi bisognosi di poste di bilancio, in passivo, che ne definiscano aritmeticamente la riduzione, correttamente calcolata, di valore.
Non vi è dubbio che il nostro paese, anche in Europa, si evidenzi fra i più elevati per tale tipo di crediti "in sofferenza" o "deteriorati", e che conseguentemente ciò contribuisca, oltre ai noti motivi (Debito pubblico, spread, costi organizzativi, lentezza giudiziaria, incertezze burocratiche), a rappresentare un ulteriore potente freno al capitale d'oltre confine di avventurarsi in terra italica.
Ma l'interrogativo (il principale, se non l'unico) che dobbiamo porci è il seguente: come può essere che le industrie, ma ancor più le banche, anche di elevate dimensioni, abbiano potuto registrare liivelli di morosità di decine e complessivamente di migliaia di miliardi?
La risposta è netta e riguarda l'interpretazione illusoria che, di fatto, il vertice direttivo di tutti i settori, con l'eccezione (peggiorativa) del settore commerciale (il più danneggiato), ha ritenuto di interpretare le conseguenze dell'introduzione a suo tempo della moneta unica.
Quando cioè, l'euro nacque e poi si applicò nel quasi totale silenzio di presa di posizione di tutti i comparti fondamentali dell'economia italiana.
Passò l'inespressa convinzione che l'euro potesse rappresentare, a seconda dei casi, un'occasione di controllo della politica salariale ed una spinta notevolissima all'esportazione, oppure (settore commerciale) un accrescimento del potere d'acquisto nazionale per effetto di una sua (auspicata, ma tutt'altro che adempiuta) equiparazione alle monete europee più forti, franco francese, sterlina e soprattutto marco tedesco.
Duole aggiungere anche la passività dei sindacati e la loro totale omessa valutazione della conversione monetaria e dell'avvenuta espropriazione, per il rapporto leonino applicato nel raffronto del marco con la lira, desumibile (nell'astuta interlocuzione di Helmut Kohl con Romano Prodi) dai listini di cambio dell'import export italo tedesco.
Quei listini che scaturivano dall'interscambio commerciale, ivi comprese le frequenti svalutazioni competitive operate, da parte italiana, per favorire la concorrenzialità dei nostri prodotti tecnologici con quelli tedeschi.
Che quindi erano finalizzati solo a quell'importante settore, intrinsecamente importante ma assolutamente inadeguato per rappresentare una conversione monetaria che coinvolgeva la totalità del patrimonio economico di tutti i suoi settori, compreso quello vastissimo dei beni non esportabili.
Fu un disastro di cui nessuno di quelli che in vario modo collaborarono o comunque edotti dal meccanismo di conversione emerso dagli accordi di Governo.
Quella conversione che, dopo aver naturalmente provocato la divisione fra fautori (come P.C. Padoan, E.Letta o R. Sommella), detrattori (come A. Bagnai) o scettici (come L.Bini Smaghi) della moneta unica, fu dalle citate fazioni analizzata senza che alcuno abbia mai ritenuto di soppesare l'enorme influenza esercitata dalla conversione e da un rapporto di cambio di 990 lire per 1 marco.
Del cui radicale errore e delle cui conseguenze - la caduta del potere d'acquisto di tutto il mercato che si esprimeva in lire, con prosecuzione di oltre tre lustri e tuttora perdurante - riferisce dottrinalmente la finestra titolata "Perché questo blog" qui immediatamente compulsabile.
Da quella conversione emerge appunto anche l'incapacità sistemica, del sistema produttivo e finanziario nostrano, di onorare la restituzione di quelle enorme somme in cui essenzialmente si identificano gli NPL.
Opere compulsate:
Come ulteriore criterio di valutazione della compattezza complessiva del sistema Italia, interviene infatti specificamente l'ammontare dei crediti che banche ed imprese nostrane indubbiamente devono registrare nei loro bilanci come classificabili di incerto futuro realizzo.
Quelle voci dello Stato patrimoniale degli Istituti bancari che, nel lessico imprenditoriale, vengono definiti come con l'acronimo NPL ("Not Performing Loans": "prestiti di incerto realizzo", n.d.r.) e quindi bisognosi di poste di bilancio, in passivo, che ne definiscano aritmeticamente la riduzione, correttamente calcolata, di valore.
Non vi è dubbio che il nostro paese, anche in Europa, si evidenzi fra i più elevati per tale tipo di crediti "in sofferenza" o "deteriorati", e che conseguentemente ciò contribuisca, oltre ai noti motivi (Debito pubblico, spread, costi organizzativi, lentezza giudiziaria, incertezze burocratiche), a rappresentare un ulteriore potente freno al capitale d'oltre confine di avventurarsi in terra italica.
Ma l'interrogativo (il principale, se non l'unico) che dobbiamo porci è il seguente: come può essere che le industrie, ma ancor più le banche, anche di elevate dimensioni, abbiano potuto registrare liivelli di morosità di decine e complessivamente di migliaia di miliardi?
La risposta è netta e riguarda l'interpretazione illusoria che, di fatto, il vertice direttivo di tutti i settori, con l'eccezione (peggiorativa) del settore commerciale (il più danneggiato), ha ritenuto di interpretare le conseguenze dell'introduzione a suo tempo della moneta unica.
Quando cioè, l'euro nacque e poi si applicò nel quasi totale silenzio di presa di posizione di tutti i comparti fondamentali dell'economia italiana.
Passò l'inespressa convinzione che l'euro potesse rappresentare, a seconda dei casi, un'occasione di controllo della politica salariale ed una spinta notevolissima all'esportazione, oppure (settore commerciale) un accrescimento del potere d'acquisto nazionale per effetto di una sua (auspicata, ma tutt'altro che adempiuta) equiparazione alle monete europee più forti, franco francese, sterlina e soprattutto marco tedesco.
Duole aggiungere anche la passività dei sindacati e la loro totale omessa valutazione della conversione monetaria e dell'avvenuta espropriazione, per il rapporto leonino applicato nel raffronto del marco con la lira, desumibile (nell'astuta interlocuzione di Helmut Kohl con Romano Prodi) dai listini di cambio dell'import export italo tedesco.
Quei listini che scaturivano dall'interscambio commerciale, ivi comprese le frequenti svalutazioni competitive operate, da parte italiana, per favorire la concorrenzialità dei nostri prodotti tecnologici con quelli tedeschi.
Che quindi erano finalizzati solo a quell'importante settore, intrinsecamente importante ma assolutamente inadeguato per rappresentare una conversione monetaria che coinvolgeva la totalità del patrimonio economico di tutti i suoi settori, compreso quello vastissimo dei beni non esportabili.
Fu un disastro di cui nessuno di quelli che in vario modo collaborarono o comunque edotti dal meccanismo di conversione emerso dagli accordi di Governo.
Quella conversione che, dopo aver naturalmente provocato la divisione fra fautori (come P.C. Padoan, E.Letta o R. Sommella), detrattori (come A. Bagnai) o scettici (come L.Bini Smaghi) della moneta unica, fu dalle citate fazioni analizzata senza che alcuno abbia mai ritenuto di soppesare l'enorme influenza esercitata dalla conversione e da un rapporto di cambio di 990 lire per 1 marco.
Del cui radicale errore e delle cui conseguenze - la caduta del potere d'acquisto di tutto il mercato che si esprimeva in lire, con prosecuzione di oltre tre lustri e tuttora perdurante - riferisce dottrinalmente la finestra titolata "Perché questo blog" qui immediatamente compulsabile.
Da quella conversione emerge appunto anche l'incapacità sistemica, del sistema produttivo e finanziario nostrano, di onorare la restituzione di quelle enorme somme in cui essenzialmente si identificano gli NPL.
Opere compulsate:
- Alberto Bagnai (Il tramonto dell'euro),
- Enrico Letta (L'europa a venticinque),
- Lorenzo Bini Smaghi (L'euro),
- Pier Carlo Padoan (Euro, moneta europea, moneta mondiale),
- Roberto Sommella (L'euro è di tutti)
- Romano Prodi (Missione Incompiuta)
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