sabato 30 settembre 2017

Gentiloni come Prodi: la subalternità inconscia dei nostri vertici politici di fronte ai potenti stranieri (anche se amici)

E' incomprensibile come sia potuto succedere ed è parimenti triste constatare come la maggioranza dei nostri commentatori politici, preferisca non esaminare, o non sappia valutare, i termini dell'accordo di Lione, fra il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron ed il premier italiano Paolo Gentiloni.

L'accordo riguardava la riformulazione della cessione parziale della "Stx France" proprietaria dei cantieri navali francesi di S.Nazaire, cittadina della Loira e prospiciente l'Atlantico, all'italiana Finmeccanica.

La società italiana, del gruppo Iri, era già legittima proprietaria, per acquisto precedente, dei due terzi del pacchetto azionario della citata Stx France ma per decisione del Presidente francese, dal nostro Governo non contestata, è stata rinegoziata, non si è capito rispetto a quale giustificata motivazione o canone riconosciuto del diritto internazionale .     

Nel contesto, stride ancor più ascoltare, quell'indisponente "win win" ("vinciamo insieme" n.d.r.) con  cui Emmanuel Macron, ha sottolineato come vittoria comune l'esito di un negoziato che, per Paolo Gentiloni e per il nostro paese, è esattamente classificabile soltanto alla stregua di una sconfitta senza attenuanti.

E irridente dovrebbe apparire a tutti noi, quel Manifesto degli Stati Uniti d'Europa, rilanciato dalle solenni aule della Sorbona, sempre per bocca di Macron, i cui tattici disegni, derivanti dai suoi precedenti politici, possono scarsamente avvalorare il suo autentico federalismo europeo.

Nell'ottica corrente del capitalismo occidentale, se un imprenditore

- in possesso di un pacchetto azionario del 66% di una azienda (come appunto la Stx) regolarmente acquistato (nel caso, da un gruppo coreano),
- pattuisse infatti una immotivata riduzione al 50% del valore delle sue azioni (come sarebbe avvenuto a Lione, auspicabilmente con restituzione di denaro contante),
- non solo verrebbe costretto dai soci alle dimissioni ma anche, inevitabilmente, investito da una     azione di responsabilità, per manifesta incapacità.

Questo è purtroppo stato il quadro essenziale del compromesso (già inaccettabile come fatto in sé, come il ministro Calenda giustamente, ma invano, ha rilevato) concordato dai due uomini di Stato, le cui zuccherate espressioni di amicizia e di stima reciproche, tendono a conferire all'evento un aspetto, per noi, ancor più inverecondo per le sfumature inevitabili di evidente ed oggettivo masochismo.

Le gravi ripercussioni patrimoniali e gestionali dell'accordo non sono infatti attenuate da quel 1% di fruizione provvisoria concesso dal Governo francese, che astutamente si è anzi riservato, in tal modo, un connesso diritto di veto sulla operatività gestionale.

In realtà sono comunque una enorme ferita alla nostra credibilità internazionale e richiamano quelle meno visibili, ma incomparabilmente più gravi, di un altro negoziato che vide, come principali interlocutori, Romano Prodi ed Helmut Kohl, nella primavera del '98, per stabilire le modalità di conversione della lira con l'euro.
   
Con una interessante differenza comparativa fra l'accordo di Lione e quello ispiratore della conversione monetaria.

Il negoziato del cantiere navale francese è avvenuto pubblicamente, mentre quello monetario, in un momento di inspiegabile distrazione del premier italiano, si svolse nella massima riservatezza e maturò telefonicamente (ce lo racconta lo stesso Prodi nel libro "Missione Incompiuta"di Marco Damilano, Edizioni Laterza).

Un accordo monetario che, è opportuno aggiungere, stranamente, mai più da nessuno (nemmeno dai detrattori dell'euro) fu sottoposto ad una analisi tecnica di merito.

Ma certamente, i due casi saranno ricordati come i più lesivi dell'immagine politica e controprova eloquente dell'impreparazione e della subalternità con cui, nel tempo, si è forgiata la nostra classe dirigente.     

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