sabato 18 novembre 2017

Conti pubblici: l'obbligo di non dire la verità

Se il nazionalismo come concetto di pregiudiziale preferenza, in ogni contenzioso che riguardi i rapporti tra le nazioni ("wright or wrong, my country": giusto o sbagliato, sto sempre con il mio paese) possa o debba tuttora essere coltivato nella formazione e nella coscienza dei cittadini, non ci sentiremmo proprio di sostenere.

Il tema diventa tuttavia attuale e sempre più delicato nella fase che noi europei attraversiamo, visibilmente segnata da una perdita graduale, ma incontrastabile, delle tradizionali sovranità del rispettivo paese di origine e del loro trasferimento a entità sovranazionali.

Ne abbiamo l'esempio più significativo in queste ore che vedono appunto il nostro governo nell'imbarazzante situazione di dare risposte alle doglianze (nella forma) o rimproveri acerbi (nella sostanza) rivolte al nostro paese.

Ci riferiamo alle recentissime dichiarazioni del vice presidente della Commissione europea, il finlandese Jyrki Katainen, sulla scarsa trasparenza dei nostri conti pubblici, echeggiato il giorno successivo dall'ambasciatore a Roma e suo compatriota.

Il quale, con la premessa accattivante (è pur sempre ospite nostro) del suo grande amore per l'Italia, per l'arte italiana, e (amabile perfidia) per il calcio italiano si chiede con serafica preoccupazione: "Come farete a piazzare i vostri titoli di Stato sui mercati internazionali quando la Bce (Banca Centrale Europea, n.d.r.) cambierà linea? " 

La supposizione di un pugilistico "uno due", concertato fra i due esponenti politici finlandesi, non è  molto arrischiato ed è un modo informale di anticipare al nostro Governo (e all'opinione pubblica italiana) quello che potrebbe accadere per l'Italia nella riformulazione del bilancio dell'Unione Europea, dopo la scadenza di quello del periodo 2014 - 2020 ancora in corso.

Un lavoro di elaborazione già in corso, nella metodologia del quale spicca l'accreditata previsione dell'inevitabilità dell'aumento complessivo degli stanziamenti, rispetto ai mille miliardi del bilancio precedente, per raggiungere la cifra complessiva necessaria per il funzionamento dell'Unione medesima.

E' infatti assai probabile che la ripartizione delle spese, per gli inevitabili aumenti che deriveranno (anche per fatti oggettivi, come l'evento della Brexit ed il venir meno dell'apporto del Regno Unito, o per le spese delle migrazioni, in prevedibile costante aumento), implicherà criteri di valutazione necessariamente vincolati alla regolarità dei conti pubblici.

E' quasi matematico che l'Italia ne soffrirà più di ogni altro paese, risultando noto a tutti e da tutti frequentemente ribadito, che il suo Debito Pubblico, sul piano mondiale è il terzo in assoluto, dopo Usa e Giappone,

In questa cornice il nostro Primo Ministro, Paolo Gentiloni, ed il Ministro dell'economia, Pier Carlo Padoan, nel tentativo di accreditare la previsione del miglioramento dei nostri conti pubblici, non riescono, perché non possono, trovare di meglio che sottolineare l'eccezionalità dell'aumento costante del Pil italiano.

Ciò non deve infatti stupire più di tanto e forse i nostri esponenti meritano un poco di solidarietà umana, per la debolezza di tutti gli strumenti politici ed economici che hanno a disposizione.

Che si traducono nell'imponenza del Debito Pubblico e e limitati dalla dalla circostanza che il Debito pubblico aumenterà sempre finché il parametro del rapporto Deficit / Pil, non solo dovrà essere inferiore allo zero, ma anche in tale ipotesi, con cifre ultra consistenti, nella consapevolezza che, altrimenti, nemmeno la longevità di Noè risulterà sufficiente per rimontare significativamente la china.

Solo la forza di una verità primordiale, quella radicale di una conversione monetaria peggio che suicida, di cui nessuno, fra coloro che, in politica come in economia, dovrebbero farsene carico, ha
la capacità o l'intelligenza di riesaminare pubblicamente.

Eppure si tratterebbe solo di correggere una semplice operazione aritmetica al fine di squarciare quell'equazione da cui derivò: lire 1936,27 uguale ad 1 euro, con il seguito di una incalcolabile espropriazione del potere d'acquisto di tutta la popolazione italiana, in atto ormai da tre lustri.     

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