martedì 28 novembre 2017

Incremento del Pil, ma pure il degrado crescente delle periferie urbane, le città metropolitane, il Debito pubblico, le banche...

Da parecchie settimane la notizia dell'incremento percentuale del Pil  (dall'iniziale previsto dello 0,4% al possibile 1,2% ) per l'anno in corso, viene costantemente richiamate dalla grande stampa, dai telegiornali, dalle agenzie di rating, dai giornali radio, da esponenti politici di maggioranza. 

L'enfasi e la ripetitività della notizia, con sottolineature tese a significare la conclusione di almeno un decennio di regressione economica, tendono a suscitare, al di là di intenti meramente consolatori, un preciso e generalizzato convincimento della pubblica opinione.

Un convincimento identificabile essenzialmente nell'acquisita visione del futuro imminente all'impronta del massimo ottimismo, come presupposto determinante per il governo di affrontare vittoriosamente le consultazioni politiche nazionali.

La finalità di suscitare una propensione razionalmente più favorevole alle misure del governo, con il sottostante ed evidente avvertimento dell'irrazionalità di interrompere l'azione governativa cui compete il merito della crescita del Pil, dovrebbe risultare pertanto legittimata e meritevole di proseguire la sua opera di bonifica. 

Sarebbe tuttavia politicamente non corretto, se la lettura ufficiale delle cose economiche si fermasse all'andamento del Pil, che, di per sé, è un connotato importante ma del tutto insufficiente e talvolta ingannevole nell'ambito stesso dell'analisi della sua quantificazione: specie sotto il duplice aspetto della qualità dei beni prodotti e dell'equità distributiva del loro rispettivo valore.

La carenza dell'informazione non deve comunque limitarsi ad una analisi di dati indubbiamente essenziali, appunto quelli del prodotto interno lordo, ma deve affrontare analisi di aspetti intrinsecamente rappresentativi della vita pubblica nazionale, per nulla confortanti.

E' infatti passata quasi inosservata una valutazione della competente commissione parlamentare su un aspetto urbanistico del paese attinente alle periferie dei centri urbani e che, per i risultati raggiunti, ha indotto un membro della commissione stessa ad esclamare: "l'Italia ha bisogno di un piano Marshall delle periferie".

Ne ha fatto meritevole eccezione la Stampa di Torino che non ha esitato a titolare un suo servizio del 23 novembre scorso, con la significativa allocuzione di "Periferie dimenticate".

Una valutazione, della commissione parlamentare, che ha un suo desolante ed immediato riscontro, nel mancato decollo, dopo l'abolizione delle Province, degli enti delle cosiddette "Città metropolitane".   

Fallimento istituzionale a parte. emerge comunque un quadro di carenza di investimenti, occupazioni abusive, smaltimento scriteriato di smaltimento della Nettezza urbana, illegalità diffusa in un contesto numerico di 15 milioni di residenti in questi agglomerati urbani, pari a circa il 25% del totale della popolazione nazionale.

Altrettanto isolato è il discorso del fabbisogno finanziario di queste città le cui problematiche (e le relative inadeguatezze) investono il paese tutto e cioè lo stato generale di obsolescenza in cui versa tutto il patrimonio urbanistico, anche il più prezioso, quello appartenente alle città in generale, sia attinente allo stato degli edifici sia all'assetto stradale.

Con stretta attinenza con l'emergere di vecchie e nuove criticità, si evidenzia la superficialità di  trascorse dichiarazioni, da parte di esponenti del Governo, sulla solidità del nostro assetto bancario, sempre più frequentemente contraddetto dalle (non sempre eleganti) ribadite dichiarazioni, delle autorità europee,  sulla fragilità dei nostri conti pubblici e, collateralmente, dell'apparato creditizio nazionale.

Uno scenario dal quale, né tecnicamente né politicamente, non usciremo mai se non prendendo atto e coscienza di quelle che sono state, e tuttora sono, le corresponsabilità di un sistema monetario concepito, consapevolmente o meno, su base leonina e quindi incompatibile con la concezione stessa di una Europa federale.

Amara realtà, appunto, che nessuno è in grado di disconoscere.

Che, siamo sicuri, nuocerà anche a coloro, tedeschi soprattutto, apparentemente dimentichi, in  tema di debito pubblico e di crisi monetarie, di due esperienze storiche vissute drammaticamente sulla loro pelle ma da cui non sembra che ritengano di dedurre alcun insegnamento, nello spirito di solidarietà federale con cui l'Unione europea era stata concepita.       

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