L'eguaglianza degli uomini, di tutti gli uomini, è principio che ha trovato solenne riconoscimento nelle massime istituzioni nazionali (le rispettive Costituzioni) ed internazionali (Onu).
E' un principio che, su archi di tempo millenari, è stato ed è tuttora parte fondamentale del messaggio delle religioni monoteiste, anche se non esattamente condiviso nella sfera inter religiosa e nei rapporti reciproci delle rispettive esperienze storiche.
Generalmente l'eguaglianza consiste nella somma di diritti che, su base paritaria, debbono essere riconosciuti agli uomini dalla nascita, ma che tuttavia, fatalmente, si diversificano durante il percorso della vita di ogni individuo.
La serie innumerevole di circostanze fortuite, dei rapporti familiari o connessi alle scelte di vita, di lavoro e di condotta di ciascuno, pur nell'ambito delle comunità di appartenenza, rendono disuguali i rispettivi destini.
Se l'eguaglianza è aspirazione connessa alla comune appartenenza umana - siamo tutti figli di un originale atto creativo - essa è condizionata da un altra aspirazione, estranea alla religione ma forse, nel comune sentire dei tempi attuali, ancor più determinante, sia sul piano individuale sia su quello politico e sociale.
Aspirazione insita nel naturale, e comunque molto diffuso, desiderio dell'indipendenza dagli altri ed, in altre parole, la libertà di agire e di intraprendere che appare, a molti, più attraente dell'eguaglianza stessa.
La libertà è stato l'ideale che negli ultimi tre quattro secoli ha influenzato, su base collettiva, i processi storici europei ed americani e successivamente (secolo scorso) orientali, incarnandosi essenzialmente nella ricerca delle autonomie nazionali e della potenza economica e militare.
La conseguenza è stato il trapasso dai grandi fenomeni egemonici degli imperi e delle dinastie con quello delle nazioni militarmente più forti ed ideologicamente più compatibili.
La sovranità delle nazioni non è tuttavia lo specchio della libertà dei propri popoli, e nemmeno garantisce alti gradi di democrazia fra i cittadini, quanto meno nella rigidità del perimetro dell'arbitrio di ciascuno in necessaria coesistenza con quello di ogni altro.
Ne è derivata una revisione ideologica del differenziale dei cittadini di una stessa nazione in rapporto con le rispettive condizioni economiche ed il conseguente conflitto delle classi sociali.
Eguaglianza e libertà hanno un loro spazio concettualmente molto chiaro ma tutt'altro che semplice nella loro traduzione concreta, ed il loro limite è segnato da fattori altrettanto naturali dell'essere umano, con radici preistoriche.
Una storia che ha insegnato il realismo nella psicologia individuale e collettiva, cioè quella parte di ostilità che promana dallo stesso mondo che pure ci dà sostentamento ma non sempre ci è amico e frequentemente con la forza ci ha reso subalterni, di fatto e psicologicamente.
E di cui storicamente fanno parte uomini di altre provenienze ma desiderosi di appropriarsi di qualcosa di noi e, modernamente, tutti insieme del pianeta stesso, in un voluttuoso ma definitivo ed irresponsabile "cupio dissolvi".
Cioè, il nostro habitat, che reagisce ormai all'illimitata cupidigia del suo sfruttamento, nell'illusione della sua inesauribilità o nell'egoismo cieco di fronte alla scienza, alle idee, alla religione stessa per chi ne ha fede.
Proprio fruendo di tale realismo, cioè di una razionale interpretazione del nostro egoismo, è forse possibile un cambio di passo dell'umana avventura, la cui chiave è un compromesso continuo fra gli istinti individuali e sociali a favore di equilibri sempre precari ma altrettanto necessari.
Con la costante premessa che il mistero di questa umanità e di questo pianeta, sta proprio nel continuo crescere di scoperte che tuttavia, invece di produrre certezze e verità definitive, moltiplicano gli interrogativi del nostro sapere ma soprattutto richiedono livelli di equilibrio sempre più elevato delle nostre coscienze.
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