martedì 30 gennaio 2018

Ciò di cui il voto del 4 marzo rischia di non essere consapevole

Diatribe a parte su vari punti controversi dei rispettivi programmi economici, o meglio di alcune pirotecniche ipotesi di intervento relative al debito pubblico, ad eterodossie tributarie od alla cancellazione della riforma Fornero, sussiste il fondato timore che, nella campagna elettorale in corso, la politica economica europea (e quindi anche italiana), già concretamente in atto su scala globale, non sarà oggetto di meditato approfondimento.

La partecipazione europea, e nostra, a molti dei fatti mondiali più critici, è storicamente già in atto da tempo ad ha avuto origine in iniziative internazionali (Onu, Nato, Unione europea) con teatri in Afganistan, Somalia, Irak, Libano, Libia, ...le cui finalità tuttavia sono in graduale e palese contrasto con le iniziali e positive motivazioni di pace e solidarietà, per popolazioni deboli e vittime di aggressioni.

Molto opportunamente, l'ultimo numero dell'Espresso ci descrive, per la penna di Floriana Buffon, il caso, particolarmente istruttivo per noi italiani, del numero crescente di insidie che si nascondono nel rapporto italiano con la Libia.   

Insidie non certo attenuate dalla politica, ispiratore il nostro ministro degli interni Marco Minniti, di collaborazione con (parte delle) autorità libiche per il controllo preventivo delle onde migratorie provenienti dal sud Africa e dal Niger che giungono in Libia attraverso il Fezzan, regione grande due volte l'Italia e ricca di petrolio ed acqua.

E' difficile, in tale scenario, sottrarsi al naturale interrogativo imposto dal contingente militare  promesso dal governo Gentiloni alla Francia per rafforzare il suo presidio politico e militare dei suoi conflitti interni, delle tentazioni migratorie delle sue genti ma soprattutto delle sue miniere di uranio.

Un interrogativo che caratterizza una politica estera basata su premesse che sottolineano, da un primo versante, un atto di solidarietà verso la Francia che a suo tempo (insieme con Gran Bretagna e Usa) non esitò a demolire brutalmente il governo libico di Gheddafi senza nemmeno informarci; da un secondo versante, che l'Italia coopera con essa al controllo migratorio dell'Africa sub sahariana; ed infine, da un terzo versante, che insieme, Francia ed Italia, pur in misura diversa, gestiscono le grandi ricchezze delle terre in cui quegli stessi migranti ed i loro antenati sono vissuti.da sempre.

Quali connotazioni di politica estera, in specifica connessione con l'Africa, possano emergere da scelte di questo tipo, ognuno può cimentarsi ad immaginare ma difficilmente potrà negare di trovarsi in situazioni diplomaticamente simili a quelle assai frequenti e tipiche dell'epoca colonialista di un secolo ed oltre fa.

Avendo soprattutto presente l'attenzione ed i concreti interessi che al continente africano vengono da molto tempo riservati a questo continente (ed alle sue immense  ricchezze) da tutte le maggiori potenze del mondo, Cina in primis.               

Che ci sia una conscia od inconscia vocazione alla subalternità italiana lo sappiamo da tanta parte della nostra storia e da ultimo lo abbiamo visto ed amaramente riscontrato anche sul piano delle scelte monetarie fondamentali.

Il non prendere atto di queste sottomissioni non è solo un atteggiamento all'opposto di un autentico amor patrio, ma, se eccede nell'arrendevolezza, rischia di essere più pericoloso dell'irrazionalismo nazionalista. 

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