E' arrivato puntuale, quale ennesimo monito, il richiamo ufficiale della Commissione europea (vicepresidente Dubrowsky) a ricordarci il sempre crescente e sempre più elevato ammontare (ormai alla soglia di 2.300 miliardi di euro) del nostro debito pubblico.
Un monito, in tempistica di così stretta sequenza dei risultati definitivi della consultazione elettorale italiana, da apparire tutt'altro che casuale.
Le dichiarazioni hanno anzi aggiuntivamente registrato l'accentuazione, quasi altrettanto allarmata, del pericolo, nell'assetto dei bilanci del sistema bancario italiano, connesso ai cosiddetti NPL ("not profitable loans"): cioè la massa enorme (dell'ordine di decine di miliardi) dei crediti deteriorati ed il rischio elevatissimo di loro mancata restituzione.
Non è infondato ipotizzare che la reiterazione di questi richiami, nella psicologia di chi decide di compierli, (la Commissione europea) scaturiscano essenzialmente dal fondamentale proposito di rammentarci tali vulnerabilità e quindi la nostra condizione di subalternità.
In tale panorama, è legittimo il dubbio che il nostro dissertare, fino al limite del parossismo, sulle varie ipotesi di equilibri parlamentari necessari alla formazione ed alla stabilità di governo, risulti del tutto inutile se lo si commisura alle difficoltà insormontabili di una politica monetaria completamente inadeguata ad una politica di risanamento.
Scoraggia constatare che sotto questo aspetto, il problema, a livello magari inconscio, non è mai stato affrontato in alcuno dei suoi aspetti o, addirittura, non ha mai trovato, negli esponenti politici o nei rappresentanti del mondo della finanza, sia pubblica come privata, una esposizione veritiera (ma anche l'unica) propedeutica ad una ipotesi di realistico miglioramento.
Con la rinuncia ad ogni analisi di merito, le conseguenze concrete, esclusivamente concentrate sui numeri parlamentari necessari per il raggiungimento di una maggioranza e quindi di un Governo, proseguiranno nel differimento continuo di un programma effettivo di efficace aggressione al tema della riduzione del nostro Debito Pubblico.
La condizione psicologica dell'eventuale governo erediterà presumibilmente la tendenza (sempre più onerosa) alla rimozione del problema, con il restare, ignaro o pavido, di fronte al quesito di una eventuale (e per noi indispensabile) diagnosi del vizio d'origine dell'unificazione monetaria e di affrontarlo con la sua denuncia politica a tutto campo.
Rimozione da cui è nato l'infittito dialogo tra sordi fra governo nazionale e commissione europea, usi rispettivamente, il primo, ad assicurare la riduzione del debito e la seconda a ricordare con esso le sanzioni relative per le fatali nostre inadempienze.
Ed è paradossale pensare che il discredito derivante da questa vocazione dilatoria, derivi in definitiva da un semplice errore di calcolo aritmetico commesso nel 1998 (Governo Prodi), quando fu concordato il meccanismo di conversione della lira con la moneta unica rappresentata dall'euro.
Il cui dettagliato esame, questo blog, nato a tal fine, riporta nella finestra qui accanto e titolata appunto "Perché questo blog".
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