giovedì 24 gennaio 2019

La crisi europea ed il misconoscimento dei suoi peccati originali

        - Premessa -

La lettura dei giornali e le ripercussioni degli eventi politici ed economici dell'inizio del 2019 ci spingono a consolidare molte diffuse considerazioni della micro narrazione di questo blog, fin dall'origine.

I fatti delle ultime ore, in materia di rapporti con l'Europa, provano sicuramente l'incapacità del Governo giallo verde, di provvedere al ricupero degli attraenti ma dimenticati teoremi che dovevano ispirare il processo di integrazione europea dei decenni trascorsi.   

In aggiunta, dato il tipo degli errori recentemente compiuti, per contenuto e stile, anche l'immagine internazionale del paese retrocede vistosamente.

Sono infatti errori che scaturiscono soprattutto dalla carenza di memoria e di interpretazione che la compagine governativa possiede sul nostro passato.

I problemi affrontati non sono lontani dalla costellazione dei temi di cui il paese soffre da molto tempo, ma originano da un governo che, inidoneo ad ogni autentica revisione di schemi politici infecondi, si definisce tuttavia  consustanziale al cambiamento della realtà del paese.

       - Il federalismo -

E' comunque possibile affermare che proprio in quanto privo di responsabilità precedenti, sia verso il paese, sia verso l'Europa, il cambiamento - dall'immigrazione alle trivelle, dalle pensioni alla legittima difesa  - poteva almeno teoricamente, identificarsi con il semplice richiamo al Manifesto di Ventotene ed al connesso presupposto federalista che in  esso era implicito.

Gli Stati Uniti d'Europa erano infatti l'unica e possibile palingenesi del vecchio Continente e dei molti paesi che ne fanno parte, se davvero si puntava alla conclusione definitiva dei suoi - antichi e recenti - conflitti egemonici e fratricidi.

Ci troviamo viceversa davanti ad una "integrazione" che ha indebolito le sovranità degli Stati senza realizzare compattezza istituzionale e solidarismo in (e fra) tutte le nazioni rispettive. 

       - L'assurdità del meccanismo di conversione dell'euro -

Collateralmente al fallimento istituzionale, si impone, come secondo e fondamentale punto di crisi, la denuncia del profondo insuccesso della moneta unica.

Unitamente a provvedimenti burocratici come il "fiscal compact" ed il "bail in",l'euro ha infatti collocato il nostro paese in posizione di sudditanza.

Per le modalità di conversione della lira, la politica monetaria risponde infatti ad organi ad organi non democraticamente eletti, come la Banca Centrale europea, ma sicuramente secondo criteri tutt'altro che equanimi.

Un meccanismo di conversione basato sui listini di borsa monetari dell'import /export rispettivi senza tener minimamente conto sia del potere d'acquisto delle singole monete come dei corrispondenti  flottanti.   

L'occasione di parlarne ci è offerta dalle dichiarazioni, in particolare del vice presidente Di Maio, inerenti ad una posizione di rendita francese para colonialista con l'uso della vecchia moneta imperiale tuttora vigente in alcuni dei suoi ex territori africani.

Prescindendo dalla - non improbabile - sussistenza di tale privilegio (che poteva essere più rigorosamente illustrata) un interrogativo si impone.

Soprattutto tenendo presente che Movimento 5 stelle e Lega nazionale non erano stati particolarmente rispettosi nei confronti dell'euro

Non può infatti non sorprendere che, in ambito monetario, le due componenti del Governo del cambiamento, nonostante l'asprezza lessicale usata nei confronti della moneta unica, abbiano completamente trascurato - anche nella fase parlamentare precedente - di analizzare il meccanismo di realizzazione della moneta unica.

Colpisce infatti che il Governo, costretto quasi comicamente a cimentarsi nell'elaborazione di poste dettagliate del bilancio, non sia nemmeno stato sfiorato dalla tentazione di indagare sul prezzo subito dalla lira, nella conversione con l'euro, sulla base di un patto oggettivamente leonino.

Un patto che ha posto inevitabilmente di essere irrimediabilmente Grande Debitore e vittima di  illegittime conseguenze tuttora perduranti a danno dell'economia del Paese.

Eppure sarebbe bastato, come dovere di tutti coloro che hanno ricoperto responsabilità economiche nel paese negli ultimi quattro lustri, leggere le poche righe dedicate alla nascita dell'euro, di cui Romano Prodi, nel suo libro intervista ("Missione Incompiuta", Ed. Laterza) rende edotti i lettori.

Da cui si evince (in modo facilmente dimostrabile) che l'economia italiana, nell'ipotesi meno pessimistica, è stata espropriata di almeno 60 miliardi di euro, per ciascuno degli anni trascorsi dal 2002 fino ad oggi e che, senza il coraggio consapevole di una revisione, permarrà per il suo lungo o corto futuro.

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