sabato 2 febbraio 2019

Le contraddizioni di un Governo erede di una regressione ultra decennale

Il Governo in carica, le cui due componenti, Lega e 5 Stelle, vengono accreditate nei sondaggi di una maggioranza, seppure con qualche oscillazione, comunque sempre vicina al 60%  dell'elettorato, è paradossalmente il più contraddittorio della storia repubblicana.

Non deve sorprendere, tenendo presente che le due citate rappresentanze politiche hanno provenienze storiche e ideologiche assai eterogenee fra loro ed al loro stesso interno.

Tav, crisi istituzionale venezuelana, questione Afghana, voto a favore o contro per il processo a Salvini (caso Diciotti) , divaricazione di orientamenti avversi o filo europei, sono tutti problemi che scavano profonde antitesi fra le due forze governative ma pure trasversalmente.

Fino a toccare, come in queste ore, punte parossistiche e difficilmente riassorbibili, quali le pubbliche allusioni, del vice presidente Luigi Di Maio, su ipotesi tutt'altro che commendevoli che contaminano il grande progetto della linea ferroviaria Torino Lione (Tav). 

Ma nel contempo mettono a dura prova le coscienze dei loro parlamentari, per l'inespresso stato d'animo che ben poco ha a che fare con la coerenza e la razionalità delle scelte politiche.

Le loro oscillazioni hanno infatti un preminente punto astronomico, esattamente quello delle scelte più propizie alla conservazione della maggioranza, e di conseguenza lontane dallo scioglimento del Parlamento.

Sarebbe disonesto - a parte bizzarrie formali ed evidenti comportamenti di immaturità - ritenere che su questa base i parlamentari di maggioranza segnino differenze peggiorative sui comportamenti dei loro predecessori.

Tutta la classe politica, con poche e sempre più rare eccezioni, si è lasciata contaminare nei decenni trascorsi dalla tendenza di associare le vocazioni politiche ai privilegi connessi ed alla loro conservazione.

Diagnosticare le cause di un processo degenerativo è complesso, forse impossibile, pur nella coscienza di una realtà che, in un settantennio, l'evoluzione storica e politica del pianeta tutto ha influenzato la nostra vita.

Ma l'Italia, tuttavia, ha gradualmente abdicato alla nobiltà dei suoi principi costituenti, che rovesciavano gran parte del retaggio passato ed aveva illuminato moralmente e culturalmente ai dinamismi nuovi, fissandoli in precisi articoli della Costituzione.

Tutto l'arco del vivere civile, politico e democratico ha trovato la sua espressione nella sua prima parte, sia per i principi civili, sindacali, economici e politici, sia per l'invito a vitalizzarne l'organizzazione.

Purtroppo, anche formalmente, in siffatto quadro rappresentativo, nulla può esimerci dal richiamare la responsabilità dei partiti, quali protagonisti principali della produzione delle leggi e della loro applicazione.

E' accaduto che, in contrasto con la reiterazione celebrativa ma retorica della Costituzione e della sua difesa, i partiti non hanno mai ritenuto di mettere mano alla democrazia di sé stessi, si sono illusi del proprio potere, ed hanno aperto fatalmente varchi sempre più ampi di degenerato loro operare.

Fino a caricare l'immagine delle stesse istituzioni parlamentari come assemblee di privilegiati, protese essenzialmente all'auto conservazione. 

Ne è conseguito il decadere progressivo di un clima autentico di autonomia culturale per la labilità stessa, della classe dirigente, di essere esempio di integrità morale.

Ne abbiamo la riprova di una opposizione al Governo attuale che, inconsciamente o meno, si sente poco credibile e quindi non abbastanza adeguata alla critica risolutiva.

Specularmente, sempre meno convincente appare la maggioranza attuale, illusa di essere stata premiata dal consenso elettorale per le proprie intrinseche qualità e non per un atteggiamento collettivo che ha voluto soprattutto significare il definitivo rifiuto di gran parte della storia passata. 

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