venerdì 8 marzo 2019

Nell'auspicio che Zingaretti individui anche in Europa le cause principali della crisi italiana

Quale valutazione darebbe, il neo segretario del Partito Democratico, sul percorso politico ed istituzionale del progetto unitario europeo, è difficile da definire.

E' nostra impressione che i problemi europei non abbiano rappresentato, per Nicola Zingaretti, un elemento primario della politica nazionale.

Nel periodo da lui trascorso nell'assemblea europea, nella veste di capogruppo dei Parlamentari del partito, non si ricordano infatti sue posizioni distintive, sia in ambito istituzionale come economico.

Nel suo incarico di segretario del Pd, la forza inevitabile delle cose gli imporrà tuttavia di concentrare frequentemente la sua attenzione sul quadrante politico di Bruxelles che, almeno apparentemente, egli lasciò senza alcuna esitazione, quando il Partito gli chiese di competere e vincere nelle penultime elezioni della regione Lazio, divenendone Governatore.

L'alto significato democratico della competizione di domenica scorsa che lo ha designato segretario del Pd, scaturisce certamente dai suoi meriti, ma anche dall'immaginario dei suoi elettori, che lo hanno simboleggiato come leader capace di ricostruire il partito, conferendo ad esso una strategia solida e di lunga durata.

Sicuramente, Zingaretti saprà cogliere come capo di un partito d'opposizione, tutte le criticità che il Governo in carica ha accumulato in questi nove mesi.

E' tuttavia fondamentale che egli ripercorra ed analizzi criticamente il processo lento ma graduale di un lungo periodo di crescente divorzio fra classe politica - quella di centro sinistra inclusa - ed opinione pubblica.

In questo sforzo di lettura retrospettiva della storia italiana ed europea, non esitiamo tuttavia coma parte minuscola di opinione pubblica, di far risaltare un dato essenziale, che trascende ogni argomento, pro o contro, il falso dilemma, oggi predominante, della conflittualità fra Unione europea e sovranità.

Nel ribadire una fede europeista abbracciata dalla sua nascita, oltre settant'anni or sono, non potremo mai sentire come nostra una aggregazione di Stati - eufemisticamente definita integrazione - costruita nell'irresponsabile oblio, cosciente od inconscio che sia, del principio federalista.

E, parimenti, non ci possiamo esimere dal denunciare - come secondo fondamentale fattore del nostro stato di debolezza finanziaria - l'assurdità di un patto monetario, basato su un meccanismo di conversione incompatibile con la dottrina e con i principi stessi della contabilità e dell'aritmetica.

Un quadro da cui è fatalmente derivato quell'egoismo nazionalistico - ribattezzato "sovranità" - che dopo secoli di conflitti egemonici e la tragedia di due guerre mondiali, aveva indotto l'Europa, su montagne di macerie di cui era storicamente responsabile, a convertirsi ad una nobile prospettiva di solidarietà reciproca.

Il tradimento di quel presupposto, la disattenzione sul carattere leonino della conversione monetaria. con il nostro paese come vittima principale, rischiano di generare come prodotto finale la nostra visibile decomposizione politica.

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