martedì 26 febbraio 2019

Cosa desumere dalla "lectio magistralis" di Mario Draghi a Bologna ?

Siamo consapevoli di appartenere ad una sparuta minoranza rispetto a quanti hanno manifestato frequenti e vistosi elogi a Mario Draghi, in precedenza come Governatore di Bankitalia,  in questi anni come Presidente della Banca Centrale Europea.

Numerose volte, valga l'elenco delle nostre etichette, ci siamo riferiti alla B.C.E. nel dissertare su argomentazioni strettamente connesse con la politica monetaria del nostro paese.

Mai tuttavia abbiamo focalizzato l'operato della B.C.E. né del suo presidente, limitandoci ad analizzare  vicende specifiche che avevano genesi o punto specifico di connessione appunto con la Banca di Francoforte.

Il cursus professionale di Mario Draghi è giustamente noto per la sua ammirevole eccezionalità.

Laureato in economia intraprende la carriera accademica come docente universitario che poi abbandona per entrare nel Ministero del Tesoro diventandone Direttore Generale.

Lascia tale incarico per assumere un impegno non istituzionale ma operativo nella  Goldman Sachs, notissima compagnia finanziaria di rango internazionale, ma nel 2006 si dimette per accettare la nomina a Governatore della Banca d'Italia.

Circa cinque anni fa lasciò l'incarico di Governatore ed assunse quello di Presidente della Banca Centrale Europea, cioè il vertice assoluto della finanza europea in parità con l'apice finanziario mondiale.

E' tuttavia l'occasione del conferimento a lui, il 22 febbraio scorso, della "laurea ad honorem in giurisprudenza" dalla Facoltà relativa dell'Università di Bologna, che ci induce a parlare di lui.

Più precisamente per meditare alcuni passaggi della "lectio magistralis" da Draghi pronunciata, come tradizione richiede, quale formale atto di gradimento della "laurea ad honorem".

Passaggi meritevoli di attenzione sia concettuale come politica: Draghi è infatti alla scadenza del suo mandato, fissata per la fine dell'anno.

E' presumibile quindi che il suo rientro in Italia susciti non pochi e non infondati interrogativi su quelle che potranno essere le idonee prospettive per una persona con un curriculum straordinario quale è indubbiamente il suo.   

Orbene, nella sua allocuzione, il Presidente della B.C.E., con assertiva perentorietà, non fa sconti né come giurista, che nettamente sottolinea  il carattere vincolante di tutto ciò che promana dalle istituzioni europee, né come economista, che non si esime dal celebrare le benemerenze dell'euro e del mercato unico.

Senza euro e mercato unico - è il pensiero del festeggiato - il nostro Pil sarebbe più basso di almeno il 7% , e quello tedesco addirittura più basso dell' 8%, afferma Draghi, con presumibile conseguente compiacimento di Romano Prodi, presente principale alla cerimonia accademica.

E come sintesi finale, come politico, al pubblico degli studenti bolognesi, conclude che fuori dall'Europa o dall'euro non ci può essere "sovranità", sull'accezione del quale svolge un singolare punto comparativo con il concetto di "indipendenza".

Lo stato è sovrano se "può migliorare il benessere dei cittadini" altrimenti - par di desumere - sarebbe solo indipendente.

E qui sembra opportuno osservare che Draghi è da alcuni decenni impegnato professionalmente in osservatori assolutamente primari (Tesoro, Bankitalia, B.C.E. e mondo finanziario internazionale),  e quindi edotto dei più riservati retroscena.

In grado quindi di valutare, con ineguagliabile dovizie di sapere e di rapporti umani, per soppesare . le criticità della storia recente proprio dal punto di vista italiano.

Quel punto di vista italiano che tornerà, appunto anche per Draghi, ad essere esclusivo, comunque preminente, fra pochi mesi dopo la scadenza del suo mandato.

E forse, Draghi, potrà rivedere gran parte delle sue vastissime esperienze professionali e chiedersi, anche dal punto di vista giuridico e filosofico, se l'unità (o integrazione) europea, come attualmente da lui interpretata, non abbia invece fallito, sul piano istituzionale ed economico.

Se non altro, per le sperequazioni derivate o imposte e per quelle che continuano ad incombere.

A beneficio illegittimo per alcune nazioni aderenti, ed a nocumento incalcolabile per altre, fra cui certamente la nostra.

Precisamente: sul piano istituzionale, per la violazione del presupposto federalista, e sul piano economico per l'assurdità di un meccanismo di conversione con il quale è stato concepita la moneta unica.

A prescindere dalla tutt'altro che facilmente dimostrabile asserzione, sulle dimensioni del nostro Pil. 

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