La risoluzione della crisi di governo ha consentito, seppure solo occasionalmente, di realizzare una più consapevole ma antica verità della nostra storia istituzionale.
Le considerazioni sulla scarsa attendibilità delle risultanze della piattaforma Rousseau, hanno ancor più potuto far luce sulla intrinseca incompatibilità istituzionale della piattaforma stessa.
Nel contempo, tuttavia, le contraddizioni di tale piattaforma con l'art. 49 della Costituzione (il principio organizzativo del "metodo democratico" prescritto per i Partiti), non possono, per contrappasso, non evidenziare che tutti i partiti della Repubblica sono stati - e tuttora sono - primari responsabili dell'omessa applicazione di tale norma.
Ma parimenti tale omissione è sicuramente una causa fondamentale della crisi politica generale in cui il paese si dibatte, peraltro non dimenticando che medesimo destino è toccato all'art. 39 (democrazia dei sindacati) ed all'art. 46 (democrazia nell'impresa), cioè i pilastri essenziali del mondo della produzione.
Al di là delle effettive intenzioni contenute nelle dichiarazioni degli artefici della soluzione della crisi, e prescindendo dall'enfasi che le caratterizza, il pessimismo sulle future sorti progressive di questo governo non può essere attenuato ed anzi certamente accresciuto.
Nella cecità strategica dei partiti del neonato Governo, ma anche dell'opposizione, la navigazione politica potrà, al massimo, beneficiare di qualche benevolenza in più da parte dei nostri partners europei, in rapporto a sanzioni da comminarci od a minor rigore nell'esame dei nostri dati pubblici amministrativi.
Nel presente quadro economico mondiale, potranno determinarsi frangenti che renderanno conveniente anche per i paesi dell'Unione, modificare criteri e modalità di comportamento più confacenti ad una misurata revisione del "fiscal compact" come apprendiamo stia già verificandosi nella stessa Germania.
Ma nulla di significativo per una modifica della situazione senza un consapevole riassetto istituzionale dell'assetto europeo, in senso federalista e dell'assurdità di un sistema monetario estraneo a tutti i principi di economia, di ragioneria e di aritmetica.
La denuncia della revisione dei patti fondamentali è peraltro un interesse di tutti, l'Italia e l'Europa, salvo in caso diverso pensare ad una Unione basata su basi ed obiettivi di natura speculativa.
Non è pensabile che si possa proseguire nel percorso unitario, senza il sacrosanto riconoscimento delle iniquità (di cui siamo certamente noi i primi responsabili) ma che, parimenti, non possono essere procrastinate, salvo il nostro precipitare nella fatale irreparabilità delle cose.
Ogni accanimento terapeutico ha fatalmente effetti solo dilatori e sempre più gravidi di disastrose conseguenze politiche e sociali, se elude l'unica premessa possibile: la denuncia degli oggettivi ed incalcolabili danni già subiti e che, nel silenzio, dovremo continuare a subire.
Forse Giuseppe Conte, protagonista indiscusso di questa legislatura, quale che possa essere il suo esito finale, è certamente il meno responsabile dei trascorsi passati, sia in sede europea sia italiana.
Riscontrando consapevolmente le menzionate avversità vicine e lontane di cui soffre il Paese, più sopra concisamente riportate, il Presidente del Consiglio potrebbe riconoscersi dotato dei migliori presupposti politici personali per compiere un atto di verità storica.
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