giovedì 19 gennaio 2017

Scompiglio ideologico globale o prospettive fatali di emarginazione europea?

Tutto il periodo che ha preceduto la investitura formale della presidenza degli Usa a  Donald Trump continua ad essere segnato da novità di straordinaria portata ma molto sorprendenti per l'imprevedibile significato ideologico che le caratterizza.

Ad annunciare tali novità sono infatti i leader dei paesi la cui storia dell'ultimo secolo ha incarnato quasi esattamente l'antitesi dei loro messaggi recenti e precipuamente delle ultime ore.

Si distingue, infatti, in tale scenario, il segretario del partito comunista cinese, Xi Jinping, che due giorni or sono, in ambito del convegno tradizionale del "World Economic Forum" di Davos, ha pronunciato un discorso che, se non strumentale, ha tutti i requisiti di passare alla storia mondiale.

Il leader comunista cinese (accompagnato inusualmente, nell'occasione, dalla bella ed elegante moglie, come messaggio di mondanità filo occidentale) ha svolto un alato discorso sulle armonie della libertà dei commerci ed esaltato la globalizzazione come "il grande oceano da cui non si può evadere".

Ma "quel grande oceano - ha aggiunto - potrebbe essere simile ad un vaso di Pandora, ripieno di tutti i mali del mondo", ed ha sottolineato, a comprova del nuovo credo liberistico,  che gli investimenti cinesi, sul suolo patrio, sono inferiori a quelli effettuati nel resto del mondo,

Per contestare, inoltre, le asserzioni del neo Presidente Usa, Donald Trump su "la Cina manipolatrice monetaria mondiale" il leader cinese ha recisamente negato ogni proposito di svalutazione competitiva della moneta cinese, lo yuan (o, più patriotticamente, " renminbi" la valuta del popolo).

Anche a  prescindere dagli interrogativi sulle inconciliabilità economiche di tali parole nel quadro dei rapporti fra Cina ed Usa (che, secondo le esternazioni di Trump, sarebbero in procinto di dar concretezza a forme varie di protezionismo produttivo) è utile uno sguardo in terra britannica.

Leggiamo infatti che Teresa May, alle stesse ore, davanti al parlamento britannico, si è protesa ad illustrare le tutt'altro che cordiali modalità del suo governo per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, in applicazione della Brexit.

Con chiarezza inattesa la premier britannica, tutta concentrata sull'orgoglio dell'indipendenza nazionale e forte della sottolineata sua vocazione atlantica, non ha infatti esitato, in concorrenza implicita con l'Europa, ad affacciare ipotesi di interessanti agevolazioni fiscali per gli investitori internazionali.

Per concludere l'elenco, è facile interpretare la complicata manovra diplomatica, con annesso intervento militare, della Russia di Putin, in Medio oriente e significativamente in Siria, spalla a spalla con la Turchia (paese membro della Nato ?!) come valido esempio dimostrativo della quasi assoluta inanità europea.

Inanità deducibile plasticamente, con indubbia rilevanza, dalla speculare dichiarazione di Trump sull'obsolescenza dell'alleanza militare atlantica, la Nato.

Può legittimamente escludersi ogni ipotesi di aprioristiche intenzioni anti europee della diplomazia internazionale, ma il quadro in sé descrive chiaramente la decrescente centralità politica dell' Europa ed il definitivo spostamento degli equilibri mondiali fuori dal Mediterraneo.

Tutte le prospettive in campo, peraltro illustrate talvolta con accenti non privi di arroganza, non registrano reazioni europee, nemmeno sul piano interlocutorio: ciò non di meno, tali prospettive
si riverberano, quasi automaticamente, sulla immediatezza del nostro futuro di europei.

I quali, per elaborare le possibili e necessarie risposte, o semplici prese di posizione, non potranno esimersi dall'autocritica di aver costruito l'unione continentale, taluni attivamente ed altri passivamente, secondo gerarchie economiche ben precise, ma intrinsecamente preclusive di solidarismi di segno coesivo e quindi generatrici di scarsa compattezza.

Gli stati europei, dopo due guerre mondiali, dimostrarono di aver capito l'errore tragico di secoli di lotta reciproca a fini egemonici, ma non alimentarono alcun sensibilità aggiuntiva per quel minimo di solidarietà federale, senza la quale ogni percorso unitario è destinato a fallire.

L'elenco delle criticità da cui l'Europa è travagliata - l'immigrazione, la dipendenza energetica, il
terrorismo, il conflitto religioso - è il risultato inevitabile di un antico egoismo, non più avido ma ancora miope.

Quell'egoismo che ha fatto dell'Europa l'area geografica più privilegiata del pianeta e da cui, psicologicamente, non abbiamo saputo riscattarci.

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