mercoledì 15 febbraio 2017

I giusti ma insufficienti ripensamenti di Lucrezia Reichlin (Corsera del 12 febbraio u.s.)

Alla buonora, meglio tardi che mai: finalmente l'editorialista di uno dei più influenti quotidiani italiani, forse il più influente, focalizza nell'architettura dell'euro il punto autentico della crisi monetaria europea.

Domenica scorsa, 12 febbraio, Lucrezia Reichlin, nell'articolo di fondo del "Corriere della Sera", ha svolto un'ampia disamina delle criticità che investono l'Europa, giustamente ravvisate nel deficit di democrazia e di socialità del processo unitario europeo, essenzialmente caratterizzato dalla rinuncia alle sovranità nazionali e dall'abbandono di ogni presupposto federalista.

Asserisce infatti, la nota economista, che "l'Europa non è una prigione ma, potenzialmente, uno straordinario strumento di progresso per i suoi cittadini e per l'economia globale" e di conseguenza non esita ad affermare che "...chi pensa questo deve avere il coraggio di affrontare il problema dell'euro e ammettere la necessità di ripensarne l'architettura non solo economica ma anche politica".

A questo punto, tuttavia, la prognosi della signora Reichlin smarrisce l'efficacia iniziale del suo pensiero e, per  debolezza di diagnosi, rende molto evidente la carenza di validi presupposti politici "per ripensare l'architettura dell'euro".

Quell'euro cioè che scaturì da un meccanismo incredibilmente assurdo e, sicuramente per l'Italia, identificatosi in un vero e proprio atto di espropriazione a danno del potere d'acquisto di tutti i percettori di lira, dall'entrata in vigore dell'euro e tuttora perdurante.

Di questo non si avvide lo stesso Romano Prodi, quando nei giorni precedenti alla formalizzazione della nascita dell'euro (3 maggio 1998) concordò con il suo pari grado, il Cancelliere Tedesco Helmut Kohl, il cambio della lira nella conversione con l'euro.

Di tale errore Prodi è tuttora inconsapevole, avendo lui stesso candidamente ricordato, pochi mesi or sono, la soddisfazione da lui provata ricevendo - un giorno presumibile dell'aprile 1998 - una telefonata di Helmut Kohl.

In tale circostanza Kohl gli comunicava (pag.94 e 95 del libro - intervista a Prodi: "Missione incompiuta" curato da Marco Damilano, Editori Laterza) di accettare il cambio di lire 990 lire per un marco, con conseguente aritmetico valore di 1936,27 per un euro.

(Lo schema concettuale del meccanismo applicato sta nella pagina del presente sito con il titolo "Perchè questo blog").

Helmut Kohl, forse sornionamente o forse per suggerimento di suoi consulenti, non accolse la richiesta di Prodi che proponeva 1.000 lire per un marco, ma deducendo solo 10 lire, fu probabilmente lieto di attenuare, poco più che microscopicamente, l'esosità del (ingiusto ed ingiustificabile) profitto tedesco, o più precisamente della moneta tedesca, derivante dalla posizione assunta da Prodi e da Ciampi, all'epoca nostro ministro del tesoro.

La distrazione di Prodi consisteva specificamente nell'illusorio abbaglio per cui, svalutando la lira nel cambio, riteneva che la moneta unica potesse conservare i vantaggi riconducibili alla tattica della "svalutazione competitiva", mentre questa, al contrario, era "ipso facto" destinata a cessare, per l'Italia come per tutti i paesi aderenti all'euro.      

In Italia, ci siamo trastullati per circa tre lustri, fra favorevoli e contrari all'euro, ma tutti senza nessun riferimento ad un elemento di merito (valevole per ogni contratto od accordo) rappresentato principalmente dalle condizioni dell'accordo e non dalla natura dell'accordo stesso.

Salvo, naturalmente, il rifiuto della moneta unica, in base alla motivazione, per taluni ritenuta sacra, dell'irrinunciabilità della sovranità nazionale.

Nutrendo, da parte nostra, una motivazione opposta, cioè la fervida adesione alla moneta unica, ci siamo impegnati, da moltissimo tempo, nello sforzo di denunciare il carattere leonino del patto, e farlo assurgere (in analogia con i contratti privati) a causa di "evidente errore monumentale".

E quindi proporre una validissima giustificazione di una necessaria revisione del meccanismo stesso sul piano politico quale è sicuramente la fattispecie di una comunità di nazioni idealmente tese alla propria unità sociale e democratica.

Vorremmo, in questa cornice, trovare in chi fruisce di una efficace tribuna, come appunto Lucrezia Reichlin, la volontà di denunciare il carattere oggettivo del sopruso monetario dell'euro, quale, sicuramente e dimostrativamente, è ravvisabile nella conversione della lira, già da sola sicuramente bastevole a contagiare irreparabilmente l'equilibrio monetario europeo complessivo.

Ma che soprattutto fu una conversione lesiva, per un arco di tre lustri e tuttora operante, per un ammontare incalcolabile di centinaia e centinaia di miliardi, a danno appunto del potere d'acquisto del complessivo sistema economico storicamente in capo alla lira italiana.

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