martedì 7 febbraio 2017

XXV° Maastricht - Lettera aperta a Ferruccio de Bortoli

Gentile dottor Ferruccio de Bortoli,
ho letto, con il consueto interesse, il suo editoriale di domenica, 5 febbraio.

Ne sono stato coinvolto subito per il duplice titolo, quello minore "Maastricht 25 anni fa", e l'altro di maggior risalto "Le rimozioni pericolose sull'Europa",entrambi espressivi di un affresco illustrativo della politica monetaria europea del trascorso venticinquennio.

Leggendolo ho apprezzato e mnemonicamente condiviso la ricostruzione del clima e delle prospettive con cui, esattamente 25 anni fa, il 7 febbraio 1992, i dodici paesi firmarono il trattato di Maastricht (dal nome della cittadina olandese sede dell'evento).

Mi sono infatti a mia volta sovvenuto di come quei dodici paesi erano, pur con diversità di stato d'animo, tutti comunque consapevoli che l'importanza degli accordi presi risiedeva soprattutto nell'aprire la strada alla moneta unica.

Significativo il ricordo del timore che aleggiava, specie negli animi dei rappresentanti tedeschi ed olandesi, sulla prospettiva che il trattato, che si accingevano a firmare, potesse implicare un rigido meccanismo di condivisione collettiva dei debiti pubblici degli stati firmatari.

In tale cornice, Lei ha giustamente sottolineato il distinto e contrapposto stato d'animo fra tedeschi e italiani.

I primi, quasi riluttanti al trattato e comunque preoccupati del rischio di annacquamento del loro marco, i secondi protesi a rendere cogenti vincoli esterni come efficace freno ad una disinvolta predisposizione nazionale alla politica del debito pubblico.

Nella seconda parte dell'editoriale Lei ha di fatto compiuto un salto di quasi cinque lustri per tracciare un ritratto delle conseguenze effettive di tale trattato, sottolineandone le poche luci e le numerose ombre.

Fra le quali, desumendo dal suo elenco, devesi giustamente citare il fallimento della moneta comune, scaturita dal trattato di Maastricht, come presupposto ("intuizione nobile ma elitaria", come da Lei citate) quasi fatale dell'unità politica.

E poi ha  proseguito allargando il quadro a critiche ed eventi nel frattempo manifestatisi: la disparità tributaria fra i paesi dell'Unione (Milton Friedman), l'esito infausto del referendum britannico sulla Brexit, lo sviluppo ed il diffondersi della rivendicazione dei diritti sovrani, ormai vanificati dalle direttive del Consiglio europeo e applicate dalla burocrazia di Bruxelles.

Il suo argomentare ha spaziato, come affresco dimostrativo, sull'ampiezza del ricorso della Bce all'inflazione monetaria (anche attraverso il "Quantitative easing", come succedaneo al metodo della svalutazione competitiva), agli inevitabili contenziosi scaturiti da rigide e burocratiche interpretazioni di quei trattati ed, infine, alla pericolosità del crescente livello dei debiti pubblici: con l'allusione specifica al nostro ed alla sua (in)comparabilità con quello tedesco.

C'è tuttavia un punto la cui omissione, nella sinossi della politica monetaria da Lei tracciata, non può essere silenziato: anche per la sua riconosciuta vocazione, di recente confermata, a non sottrarsi alle verità amare degli eventi ed ai giudizi scomodi sulle persone che li meritano.

Mi riferisco al punto per me non solo cruciale ma addirittura dirimente come criticità fondamentale dell'attuale crisi politica ed economica europea, pur se guardata da un punto di vista italiano.

Cioè al radicale errore, compiuto nel maggio 1998, governo Prodi, nello schema adottato nella conversione nell'euro della lira, nostra moneta, e conseguentemente di quelle dei paesi aderenti all'euro zona.

Errore identificabile - dimostrativamente - nel caso della lira italiana, la cui incredibile svalutazione rappresenta l'errore più colossale, con l'eccezione delle guerre, mai prima compiuto da alcun nostro governo, pur nel silenzio di tutti coloro, moltissimi per la verità, che pur possedevano gli strumenti di dottrina e di informazione su l'erroneità di quel calcolo, per intervenire tempestivamente sul Governo di allora.

Un errore che è stato costantemente ignorato. paradossalmente, sia da quanti hanno condiviso come da coloro che hanno respinto l'adesione alla moneta unica.

Nel sito che Lei sta compulsando, è facile rendersi conto (nella finestra "Perché questo blog") della fondatezza, sia in punta di dottrina sia di calcolo aritmetico, della denuncia dell'incalcolabile espropriazione di potere d'acquisto consumata a danno irreparabile dell'economia italiana.

Un danno di cui hanno sofferto, e continuano a soffrire, tutti i patrimoni e tutti i redditi, calcolati in lire, sia di lavoro, come di pensione e di ogni altro legittima fonte, subiti dai legittimi detentori e moltiplicati per ogni anno trascorso dal 2002 e la loro futura prosecuzione.

Aggiungo, altresì, che comunque, la fattispecie della conversione italiana è, già per il metodo di calcolo, intrinsecamente la sufficiente controprova della corrente ma infondata teoria di una conversione basata sulla media ponderata delle monete dell'euro zona.

Forse gli interrogativi tuttora aperti sulle conseguenze del "fiscal compact" o del ricorso disordinato all'uso dei titoli derivati, sarebbero assai meno angosciosi, per noi italiani soprattutto, se maggior attenzione fosse stata applicata in quel frangente.
 
Sono consapevole della portata di quanto affermo anche per aver constatato, in numerose occasioni, la mancanza di obiezioni alla mia tesi.

Sono peraltro altrettanto fiducioso nell'attenzione che vorrà riservare alla mia analisi e alla consistenza della mia denuncia, quanto meno per un principio di verità storica.

La ringrazio, con i migliori saluti, Pierluigi Sorti

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