lunedì 3 luglio 2017

Ma il "bail in" è simbolo di progresso o, al contrario, ostativo alla politica creditizia europea ?

Il modo di risoluzione della crisi di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza ha rappresentato un grosso sollievo per gli obbligazionisti, gli azionisti ed i correntisti (con volumi di deposito superiori ai centomila euro) di entrambi gli istituti.

Come abbiamo tentato di illustrare nel post precedente, il prezzo pagato si è fondamentalmente incentrato in un accresciuto nostro indebitamento pubblico e quindi in un ulteriore onere a carico di tutti i contribuenti italiani.

Ma un prezzo politico elevato devesi indubbiamente presumere in una diminuzione di credibilità del sistema creditizio italiano, sottolineata anche dal diverso e più sfavorevole trattamento subito dal Banco Popular spagnolo - di ben più rilevanti dimensioni - che, in analoghe condizioni di insolvenza , alle regole del "bail in" è stato invece, assai recentemente, costretto a sottostare.

Si può addirittura dedurre che episodi come questi incrinino la prospettiva stessa dell'Unione bancaria europea, visto che la stessa Commissaria alla concorrenza, la danese Margrethe Vestager, ha motivato il trattamento riservato alle banche venete sulla diversità delle legislazioni e delle prassi bancarie dei paesi aderenti all'Unione.

Non esimendoci dall'analogo quesito che sarebbe stato indispensabile porre nella fase preliminare del processo della moneta unica europea, sarebbe comunque opportuno valutare se tutta la filosofia di base del "bail in" sia intrinseca a criteri di giustizia e soprattutto di facile applicazione.

Più precisamente, almeno per i risparmiatori, obbligazionisti e correntisti (pur essi notoriamente toccati in certa misura dal "bail in") occorrerebbe presumere la loro possibilità e connesso diritto di individuare i gradi effettivi di rischio inerenti all'affidamento, in prestito o in deposito, di parti cospicue della loro liquidità ad uno specifico istituto di credito.

E' vero, una valutazione del rischio scaturisce quasi automaticamente dal grado di remunerazione del denaro prestato o affidato in deposito temporaneo.

Salvo tuttavia il rischio di derubricare ogni operazione di affidamento bancario ad un tavolo di roulette, potrebbe assurgere a maggiore efficacia e consapevolezza la decisione di rivitalizzare il discrimine istituzionale del credito di esercizio, a breve termine, ed il credito di investimento, a lungo termine.

Il trascurare tali considerazioni accrescerebbe infatti il grado di isolamento e di debolezza del nostro sistema creditizio, mentre l'affrontarle ci darebbe l'occasione di un riesame generale, al di là del sistema del credito, della politica monetaria nel suo complesso ed i cui presupposti, errati in sede pratica e dottrinale, hanno già implicato nocumenti, tuttora perduranti, di incalcolabile ammontare per l'economia italiana tutta.

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