domenica 6 agosto 2017

7 agosto 2007: quando la Federal Reserve ritenne di esprimere il suo ottimismo sull'espansione dell'economia globale

" C'è stata un po' di volatilità nei mercati finanziari nell'ultimo periodo ... ma è probabile che l'economia continui la sua espansione, in un quadro di crescita dell'occupazione e dell'economia globale".

Così recitava, il 7 agosto di 10 anni fa, il comunicato della Federal Reserve nell'imminenza delle vacanze estive, in Usa e nel mondo occidentale tutto, con la rassicurante aggiunta che il tasso di interesse primario nel mercato finanziario americano, restava fermo al 5,25% del mercato americano.

Eppure, solo due giorni dopo, la Banca Nazionale di Parigi pressata da notizie circolanti sulla liquidità di tre suoi fondi di investimento ipotecario nel mercato americano, ammetteva l'impossibilità di assecondare le richieste di rientro dei depositi da parte dei rispettivi clienti.

Era l'inizio della crisi dei "sub prime", ovvero dei mutui concessi per l'acquisto della casa a clienti americani con inadeguato reddito individuale e quindi incapaci di far fronte al pagamento delle rate del rispettivo piano di ammortamento.

Incredibilmente, con prontezza sorprendente, fu tuttavia la Bce (Banca centrale europea), nella persona del suo presidente Jean - Claude Trichet, ex governatore della Banca di Francia, che decise un'iniezione straordinaria di liquidità per un importo di 95 miliardi di liquidità a 49 banche dell'area euro.

Lo sviluppo successivo è abbastanza noto: crisi del mercato londinese, poi quello delle grandi banche americane (Lehman Brother, in primis) e successiva correzione della Federal Reserve, rovesciando la scelta tradizionale americana del decorso fallimentare delle imprese, a favore di una politica di sostegno finanziario a tassi minimali (quasi prossimi allo zero),  seppur commisurati con adeguati e concreti ripristini di gestione equilibrata.  

Gli sviluppi successivi, in Europa fu il Q.E. (Quantitative easing) 60 miliardi al mese per un biennio, nel Regno Unito (10 miliardi di sterline al mese), in Giappone (40 miliardi di dollari al mese) (Corsera, 31 luglio u.s.).

Una massa enorme di liquidità si è rovesciata sull'economia occidentale, con un criterio che, in un tempo ancora vicino al nostro, sarebbe stato considerato sacrilego.

Una liquidità che, se ha indubbiamente evitato crisi industriali e sociali, ha anche comportato una concentrazione di disponibilità di capitale liquido di cui, quasi naturalmente, ha potuto beneficiare, anche se non esclusivamente, il mondo del credito: ivi comprese quelle banche che, precisamente nella fattispecie dei "sub prime", hanno storicamente responsabilità fondamentali.

Le sperequazioni sono state imponenti e di triplice natura, come lo sviluppo dei fatti ha reso evidenti in modo indiscutibile.

Le conseguenze sono a tutti note: a livello di settore economico (prevalentemente a favore di banche), a livello individuale (privilegiando appartenenza professionale e status sociale) ed a livello di singole nazioni (nella fattispecie della loro posizione già precedentemente penalizzata sul piano del debito pubblico) con la caduta, in numero elevato di alcune compagini nazionali (Italia inclusa) del proprio potere d'acquisto.

La delicatezza degli equilibri finanziari internazionali sta nell'incognita - cui occorrerà presto o tardi dare una o diversificate ipotesi di soluzione - sta nella decrescita degli Stati che possono avvalersi appieno della sovranità monetaria e della conseguente pienezza democratica.

Ma, soprattutto, il mondo occidentale (imitato, in parte crescente, da conformi scelte cinesi e russe) nel decennio trascorso, ha ormai rotto tutti gli ormeggi che storicamente legavano la moneta o ai metalli preziosi o al commercio internazionale, per avventurarsi nel mare magnum e sconosciuto della moneta stampata anarchicamente in tutto il mondo.

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