lunedì 28 agosto 2017

Le verità auspicate dalla Commissione parlamentare sul mondo del credito

Non risulta ufficialmente che la commissione parlamentare, composta da 40 parlamentari e nominata lo scorso luglio, incaricata di una indagine sul mondo del credito, si sia finora convocata per l'inizio dei lavori.

Nemmeno siamo informati che un esponente politico della commissione abbia ritenuto di fornire dichiarazioni di merito sul metodo di lavoro di cui è presumibile abbiano discusso fra tutti loro.

Escludiamo tuttavia che il tema della politica creditizia possa rappresentare una mano morta di rilevanza mediatica di prestigio, indipendentemente dalla qualità dei risultati conseguiti.

Predeterminarne un esito infecondo, sarebbe comunque una ulteriore grave testimonianza di neghittosità parlamentare su aspetti fondamentali della crisi economica e politica del paese.

Gli ultimi eventi di piccoli, medi o grandi istituti di credito italiani, di varie regioni italiane, che hanno visto, nello scorso anno, determinarne un fatale sbocco fallimentare quasi simultaneamente, non investono soltanto l'incompetenza ed il decoro professionale delle rispettive direzioni.

La gravità delle operazioni commesse ed ormai sufficientemente emerse nelle specifiche connotazioni, è infatti obbligatoriamente riconducibile a tutte le autorità istituzionalmente incaricate di provvedere agli indirizzi, al controllo ed ai conflitti di interessi dei loro amministratori.

"In primis" la Banca d'Italia che, pur dimessa dal suo storico potere di Istituto di emissione monetaria e di banca delle banche, per il noto relativo passaggio di poteri alla Banca centrale europea, mantiene, pur condividendola formalmente con quest'ultima, la funzione di controllo del rigoroso adempimento delle norme di legge da parte dell'universo creditizio nazionale.

Bankitalia è sotto la lente, da parte della stampa e di vari esponenti politici, per la sua sostanziale passività a fronte di comportamenti e decisioni di numerosi istituti di credito, degli anni trascorsi.

La natura e le gravi conseguenze di operazioni gestionali rischiose, non escluse quelle penali, da tempo erano e sono oggetto dell'attenzione stupita, anzi indignata dell'opinione pubblica per ingentissimi danni patrimoniali inflitti ai propri clienti ed azionisti.

I ritardi, le omissioni ed i silenzi (se non addirittura l'inazione consapevole) di cui Bankitalia non poteva non essere consapevole, precludendo ogni iniziativa volta ad affrontare i rimedi necessari di evidenti errori o reati, suscitano una esterrefatta contrarietà e conseguente presa di posizione.

L'ipotesi, da alcuni prospettata, di attenuanti riconducibili specificamente ad operazioni di emissioni di azioni o di titoli obbligazionari con carattere di derivati - sulla cui regolarità, per legge del 2014, è chiamata a rispondere anche la Consob - non può essere considerata una attenuante.

Semmai, al più, un concorso di colpa, che tuttavia accentua la responsabilità istituzionale di due organi primari, appunto Bankitalia e Consob, chiaramente incapaci di dialogare fra loro e di onorare i compiti costituzionalmente assegnati, sintetizzabili nella tutela del risparmio pubblico e privato.
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Le considerazioni riguardano i fatti recenti relativi a scelte, decisioni e comportamenti venuti gradualmente alla luce nell'ultimo biennio e sono notoriamente inerenti, con distinte modalità ma di esemplare ed elevata gravità, a Istituti come: Veneto Banca, Popolare di Vicenza, Monte dei Paschi, Popolare Etruria, Cariferrara, Carichieti, Banca Marche.

Le cui vicende ed i tutt'altro che irreprensibili - nella cornice di imprese che, senza interventi del Governo, sarebbero dovute fallire con possibile appendice di fraudolenza aggravata - sono state ampiamente illustrate da L'Espresso dello scorso 6 agosto.  
   
Ma la gravità dello stato generale della politica del credito assume decisiva rilevanza una eloquente statistica che esprime, su sede nazionale, la cifra lorda dei crediti deteriorati il 31 dicembre dello scorso anno.

Precisamente, a quella data le somme anticipate dalle banche che i clienti non erano riusciti a restituire alle scadenze fissate ammontavano a 349, 5 miliardi di euro.  

E' difficile non rilevare profondi motivi, estrinseci al quadro di valutazioni sopra illustrate, ma di grande sconforto morale e politico.

La prima riguarda la pochezza della classe politica dirigente che proprio in questi tempi si incontra e si scontra, per la nomina del Governatore di Bankitalia, per l'imminente scadenza di mandato del governatore in carica Ignazio Visco, di cui peraltro si vocifera una possibile conferma.

La seconda, ancor più desolante, concerne una interpretazione della nostra appartenenza nell'euro zona, come gestita nelle modalità più screditanti.

Dopo la scelta dei criteri adottati per l'unità monetaria, la passiva accettazione successiva del fiscal compact e le scriteriate modalità dell'innovazione del "bail in", questa politica del credito (a prescindere dall'ipotesi di violazione della clausola degli aiuti di Stato) investe definitivamente la credibilità politica italiana nell'euro zona.

L'Europa, sempre più convintamente, per le manifeste e sistematiche insufficienze governative, riterrà definitivamente il nostro paese non meritevole d'altro che di una funzione di servizio,ad esclusivo vantaggio altrui.

Il palliativo del ricorso alla Commissione è la vecchia posizione andreottiana che recitava: quando un problema è irresolubile, basata organizzare una commissione.

Oltre ad una decorosa presa d'atto di verità, prima condizione per un radicale cambio di marcia, per il momento, dalla Commissione per le banche, non c'è infatti realisticamente altro da aspettarsi.

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