venerdì 20 luglio 2018

Il Governo giallo verde come sintomo della irreversibilità della crisi europea.

Forse era inevitabile, ma non nel modo confuso e indecoroso con cui, specie nella giornata odierna. l'azione del  Governo si mostra fisicamente, davanti ai nostri occhi, con i caratteri cubitali di quasi tutti i quotidiani.

I quali ci dicono, talvolta asetticamente, più spesso con sarcasmo, le contraddizioni, le ruvide contestazioni, le menzogne che coinvolgono i due leader della Lega e di M5s, Salvini e Di Maio con i colleghi ministri (Tria, ministro dell'economia), amministratori di Enti Pubblici (Boeri, presidente dell'Inps), con i sindacati (Ilva e Alitalia).

Il tutto, come il nostro Debito pubblico, le cui implicazioni i due leader menzionati sono sicuramente inconsapevoli, in una cornice di contenziosi con l'Europa, sempre da affrontare od accendere, mai da comporre, con le autorità europee, esclusive titolari delle credenziali appropriate per le decisioni da prendere.

Con l'eccezione del presidente del Consiglio, di cui è lecito segnalare un comportamento almeno lessicalmente adeguato all'etichetta del rapporto fra i reggitori della cosa pubblica, quali che siano le rispettive consonanze e dissonanze di cui essi scoprono sempre troppo tardi l'esistenza, quanto meno delle essenziali implicazioni.

Non c'è un settore di attività sul tappeto che si sottragga a questo accendersi continuo di litigiosità, di disparità di vedute, di poteri decisionali, vuoi che si tratti dei profughi, dell'Ilva, delle nomine.

E' infatti tutto un rinfacciarsi continuo di contestazioni che coinvolgono l'accusa di menzogneri, di imposizione alle dimissioni o addirittura di ipotesi di licenziamento, ma anche gagliardamente (e spettacolarmente) rintuzzate dagli interessati (Boeri) o bellamente ignorate (Tria).
       
Insomma il Governo, autodefinitosi del "cambiamento",  procede ormai irreparabile preda di quelle scelte che il celeberrimo Talleyrand (sempiterno ministro degli esteri francese con tutti i regimi, rivoluzionario, napoleonico, della restaurazione) chiamava errori peggiori del crimine, cioè il commettere seriale di monumentali sciocchezze.

Salvini e Di Maio, sono ormai irrimediabilmente sulla via della regressione, potendo solo invocare a propria attenuante il fatto di non essere stati aiutati a capire di non essere loro gli autentici vincitori delle elezioni.

Essi erano soltanto gli occasionali giovinotti a disposizione dell'elettorato che voleva essenzialmente esprimere la dichiarazione di fallimento di una classe politica screditata. 

Cosa poteva fare l'elettorato, nell'emettere la sua sentenza, se non puntare sulle formazioni che meglio esprimevano analogia di dissenso da una tradizione politica che usava confermare le stesse confraternite del potere, seppur votate turandosi il naso?

Questa volta, anche sulla spinta di una triplice formazione politica, ciascuna delle quali non era a priori accreditata come quella elettoralmente più favorita, la scelta dell'elettorato obbedì al proprio autentico stato d'animo, quello cioè favorevole alla rottura con la tradizione, anche sollecitato nella constatazione del regredire costante dell'orizzonte economico e sociale.     

Se oggi è fondato congetturare che il credito europeo verso il nostro paese, sia in ulteriore crescente caduta, gli europei che dovrebbero dirigere i processi unitari, prendano atto che il quadro istituzionale con cui l'unità europea è stata edificata, è radicalmente inidoneo a tal fine.

Non risulta che essi abbiano mai ponderato, né inizialmente né retrospettivamente, che storicamente i processi unitari delle nazioni, non hanno mai avuto altro efficace modello che quello federalista, in altre parole la piena e riconosciuta parità di condizioni degli Stati aderenti. 

L'alternativa che di conseguenza oggi sorge spontanea o demagogicamente sobillata, in forme di riscatto delle sovranità nazionali,  non ha altro sbocco, dal punto di vista europeo, che quello del disfacimento anarchico dell'assetto dell'antico continente.

Se poi il disegno sia stato concepito machiavellicamente così fin dall'origine, non sappiamo.

E' certo tuttavia che stavolta l'Europa perderà ogni sua storica primazia, ma anche il patrimonio di cui è portatrice, avrà un destino diverso da quello greco, venti secoli or sono, subito dopo l'annessione romana ("Graecia capta, feros victores cepit).

Perché per assai tempo l"immagine europea, rispetto al resto del mondo, resterà prevedibilmente  quel complesso di potenze che ancora poco meno di un secolo fa, egemonizzavano circa tre quarti del mondo, ma ne erano parimenti detestate.

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