Siamo ormai a raschiare il fondo del barile: le risorse finanziarie disponibili del Bilancio pubblico, in contrasto con l'ottimismo del Governo - ormai contabilmente smentito - non troveranno nel normale flusso di cassa, dal Pil alle tasse, alcuna disponibilità finanziaria aggiuntiva.
Di conseguenza, appare inevitabile lo scatto automatico, imposto dalle norme europee, dell'aumento dell'Iva, adeguato ad un introito di una trentina di miliardi, che scatterà fatalmente in data anteriore alla fine dell'esercizio in corso.
Non altro rimane, tranne dar mano ad alcune ipotesi di intervento che nel corso degli anni, da più di un Governo erano già state individuate come disponibilità straordinarie per fronteggiare particolari obiettivi, non tuttavia così delicati come l'eventualità di insolvenza che caratterizza invece la fase di bilancio attuale.
E' di stamane, a comprova, il titolo principale di "La Stampa", in prima pagina, che recita "L'opzione del Governo: usare l'oro di Bankitalia per non aumentare l'Iva" che trova la sua giustificazione in 4 servizi che occupano, quasi interamente, la seconda e la terza pagina.
Apprendiamo dal giornale torinese che il ricorso all'oro tesaurizzato da Bankitalia, il quarto del mondo in assoluto (dopo la Federal Reserve, la Bundesbank, ed il Fmi) e valutabile intorno ai 90 miliardi, ha registrato nel tempo alcuni tentativi, tutti inattuati (governi Prodi e Berlusconi), di farne base autonoma di possibile e parziale fruizione.
Già perché, nell'Italia culla del diritto, anche l'oro nei forzieri di Bankitalia - depositato per il 45% in Italia, 45% in Usa, il 10% fra Regno unito e Svizzera - è un problema di natura giuridica, tale che ancora nemmeno è possibile determinarne la proprietà.
Esistono almeno quattro singolarissime varianti, comunque insufficienti a chiarire, quanto meno, la piena titolarità del possesso, cioè la facoltà di disporne.
Contrastanti ipotesi identificative dell'organismo a cui devono attribuirsi le competenze ed il diritto di disporre di questo cespite, si confrontano da tempo invano: Bankitalia, le banche azioniste, od il Governo?
Oppure, come recita una proposta di legge del Presidente della commissione bilancio della Camera, Claudio Borghi, non sarebbe più democratico riconoscere l'oro in deposito come proprietà dello Stato?
O forse, come dichiarò Mario Draghi (nella qualità di Governatore di Bankitalia) in una audizione del Senato, spetta alla Bce di Francoforte " impedire ogni alterazione di tale cespite per non compromettere l'indipendenza delle Banche centrali europee": ma non è tale indipendenza compromessa da questa stessa normativa?
Pur tuttavia, lo scetticismo che ispira il meccanismo complicato sopra riferito, non deve disarmare ed indurre all'abbandono di ogni tentativo, da parte di questo o qualsiasi Governo si possa trovare nelle stesse condizioni di difficoltà.
Ciò che tenteremo di illustrare nella prosecuzione di questa improcrastinabile esigenza del Bilancio pubblico italiano.
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