Furono molti e assai importanti gli eventi politici ed economici che nel 1998 accaddero nel nostro paese e che entrarono seppur con ritardo a far parte dell’immaginario collettivo.
Alcuni di essi, quelli politici in senso stretto, riguardarono specificamente il nostro paese.
Quelli istituzionali ed economici investirono invece l’Europa tutta, perché segnarono un passo decisivo dell’integrazione economica europea, con la formazione della zona unica monetaria, alla cui adesione concorsero inizialmente undici nazioni, fra cui l’Italia.
La moneta scelta per suggellare concretamente quest’ultimo evento fu, come tutti sanno, l’euro.
La moneta unica fu salutata, anche da quei paesi che decisero di non farne parte oppure di differirne il momento, con stati d’animo contrastanti, suddivisibili fra favorevoli, contrari, perplessi e indifferenti.
L’accordo raggiunto includeva una clausola inconsueta, in base alla quale gli undici paesi contraenti si impegnavano a rendere operativa l’entrata in vigore dell’euro solo tre anni dopo, cioè il 1° gennaio 2002.
La maggior singolarità fu tuttavia rappresentata da un altro aspetto dell’accordo: quello, già richiamato nella pagina "Perché questo blog", riguardante il meccanismo con cui venne deciso il tasso di conversione dell’euro con le rispettive monete.
Per l’Italia, almeno nei limiti dei documenti ufficiali, mentre è noto l’elenco dei nominativi di coloro che a vario titolo parteciparono all'elaborazione dell'accordo, non ci è riuscito, nonostante la bibliografia compulsata, di risalire al documento finale che ufficializzò l'adesione italiana sottoscritto dal titolare politico competente.
La mancata notorietà dell’esponente politico che se ne assunse la responsabilità è forse dovuta a quel triennio di sospensione dell’entrata in vigore dell’euro, dianzi menzionato, che ne sopì non poco l’attenzione.
Ne è conseguito che decisioni già irrevocabilmente prese alla fine del 1998 non fecero percepire le conseguenze dell’accordo di conversione, per la semplice ragione che la circolazione della lira proseguì normalmente nel triennio successivo.
Tale differimento può, in ipotesi, essere stato il motivo di quello che riteniamo il peccato originale dell’euro e cioè la motivazione fondamentale della presente iniziativa: ma soprattutto l’evidenza delle conseguenze per la collettività tutta, massimamente per i lavoratori e per i pensionati. Queste categorie furono penalizzate da quel momento da un taglio di potere d’acquisto, derivante dal convergente concretarsi del deprezzamento della lira e dall’aumento dei costi di produzione e dei servizi.
Come poté accadere che, prima della sottoscrizione dell’atto di conversione, nessuna obiezione sia stata sollevata dalle cospicue schiere di esperti ed osservatori prima del suggello del cambio lira/marco risultante esclusivamente (e quindi incomprensibilmente) dai listini ufficiali del mercato delle monete? Perché furono completamente trascurate le misure del flottante della lira (e parimenti del marco) di quella fine dicembre 1998?
Solo così potremmo giungere alla comprensione della "ratio" di un accordo internazionale tecnicamente sbagliato, e che ha rappresentato per il nostro paese una vero e proprio atto espropriativo di potere d’acquisto subito da tutti i possessori di lire, i cui effetti, iniziati impercettibilmente nel triennio 1999-2001, sono esplosi nel 2002, e continuano e continueranno a farsi sentire.
A questo fine, facile da definirsi ma complicato da perseguire, occorre evidentemente rifarsi alle vicende italiane nella loro connessione con il processo politico di Unità europea e specificamente con gli accordi interstatali che ne hanno rappresentato le linee guida.
Forse, e solo se questa ricognizione sarà corroborata da tutti coloro che sono sensibili al tema, sarà possibile trovare il capo di questo filo d’Arianna.
Alcuni di essi, quelli politici in senso stretto, riguardarono specificamente il nostro paese.
Quelli istituzionali ed economici investirono invece l’Europa tutta, perché segnarono un passo decisivo dell’integrazione economica europea, con la formazione della zona unica monetaria, alla cui adesione concorsero inizialmente undici nazioni, fra cui l’Italia.
La moneta scelta per suggellare concretamente quest’ultimo evento fu, come tutti sanno, l’euro.
La moneta unica fu salutata, anche da quei paesi che decisero di non farne parte oppure di differirne il momento, con stati d’animo contrastanti, suddivisibili fra favorevoli, contrari, perplessi e indifferenti.
L’accordo raggiunto includeva una clausola inconsueta, in base alla quale gli undici paesi contraenti si impegnavano a rendere operativa l’entrata in vigore dell’euro solo tre anni dopo, cioè il 1° gennaio 2002.
La maggior singolarità fu tuttavia rappresentata da un altro aspetto dell’accordo: quello, già richiamato nella pagina "Perché questo blog", riguardante il meccanismo con cui venne deciso il tasso di conversione dell’euro con le rispettive monete.
Per l’Italia, almeno nei limiti dei documenti ufficiali, mentre è noto l’elenco dei nominativi di coloro che a vario titolo parteciparono all'elaborazione dell'accordo, non ci è riuscito, nonostante la bibliografia compulsata, di risalire al documento finale che ufficializzò l'adesione italiana sottoscritto dal titolare politico competente.
La mancata notorietà dell’esponente politico che se ne assunse la responsabilità è forse dovuta a quel triennio di sospensione dell’entrata in vigore dell’euro, dianzi menzionato, che ne sopì non poco l’attenzione.
Ne è conseguito che decisioni già irrevocabilmente prese alla fine del 1998 non fecero percepire le conseguenze dell’accordo di conversione, per la semplice ragione che la circolazione della lira proseguì normalmente nel triennio successivo.
Tale differimento può, in ipotesi, essere stato il motivo di quello che riteniamo il peccato originale dell’euro e cioè la motivazione fondamentale della presente iniziativa: ma soprattutto l’evidenza delle conseguenze per la collettività tutta, massimamente per i lavoratori e per i pensionati. Queste categorie furono penalizzate da quel momento da un taglio di potere d’acquisto, derivante dal convergente concretarsi del deprezzamento della lira e dall’aumento dei costi di produzione e dei servizi.
Come poté accadere che, prima della sottoscrizione dell’atto di conversione, nessuna obiezione sia stata sollevata dalle cospicue schiere di esperti ed osservatori prima del suggello del cambio lira/marco risultante esclusivamente (e quindi incomprensibilmente) dai listini ufficiali del mercato delle monete? Perché furono completamente trascurate le misure del flottante della lira (e parimenti del marco) di quella fine dicembre 1998?
Solo così potremmo giungere alla comprensione della "ratio" di un accordo internazionale tecnicamente sbagliato, e che ha rappresentato per il nostro paese una vero e proprio atto espropriativo di potere d’acquisto subito da tutti i possessori di lire, i cui effetti, iniziati impercettibilmente nel triennio 1999-2001, sono esplosi nel 2002, e continuano e continueranno a farsi sentire.
A questo fine, facile da definirsi ma complicato da perseguire, occorre evidentemente rifarsi alle vicende italiane nella loro connessione con il processo politico di Unità europea e specificamente con gli accordi interstatali che ne hanno rappresentato le linee guida.
Forse, e solo se questa ricognizione sarà corroborata da tutti coloro che sono sensibili al tema, sarà possibile trovare il capo di questo filo d’Arianna.
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