domenica 11 settembre 2016

Atene, Bratislava e Berlino: dissidi di indispensabile ricomposizione

La linea di divisione dell'Unione europea, oltre che nel diffondersi di autonome iniziative e di accordi di singoli stati, trova espressione nello stesso linguaggio e nella racchiusa psicologia dei rispettivi apicali rappresentanti governativi.

La contemporaneità del vertice di Atene, promosso da Alexis Tsipras, capo del governo greco (con l'adesione dei colleghi di Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Malta e Cipro) da un lato e dell'incontro Ecofin (l'assemblea dei ministri finanziari dell'Ue) a Bratislava, capitale della Slovacchia, dall'altro, ne è stata la plastica dimostrazione.

Il ministro tedesco delle finanze, Wolfang Schauble, non solo derubrica, a tempo reale, l'iniziativa di Atene, caratterizzandola come summit socialista, ma ne deduce freddamente, in quanto appunto di ispirazione socialista, la conseguente "incapacità di produrre qualcosa di molto intelligente".

Non si esime, Schauble, dal criticare inoltre la politica monetaria della Bce, responsabile della svalutazione dell'euro, pur ammettendo (con ironia unita a sarcasmo) i vantaggi, da essa svalutazione provenienti, all'esportazione tedesca.    

Renzi, da parte sua, ignora l'offesa, ma soddisfatto per il documento sottoscritto ad Atene, anche con la firma di Holland, enfatizza con fervore l'esigenza che Berlino riconosca la necessità di una maggiore flessibilità delle regole di bilancio Ue ed il dovere per la Germania di investire una parte del suo surplus commerciale

Dovrebbe cioè, sembra di intuire, affermarsi il principio che, se il guadagno di dell'export di un paese dell'Unione, supera il 6% del suo Pil, tutto l'eccedente sia destinato a investimento.

Nel contesto di altre dichiarazioni, da entrambi i contrapposti punti di vista, è assai illuminante trascegliere alcune brevi dichiarazioni (Corsera del 10 maggio) di Daniel Gros, direttore tedesco del "Centro per gli studi di politica europea" di Bruxelles.

L'accreditato studioso tedesco, con sobrie e nette parole, difende la posizione rigorista tedesca con l'affermare: "Le regole ci sono, basta applicarle" e controbatte a Renzi "Si sapeva fin dall'inizio che la Germania sarebbe stata il vero beneficiario dell'euro debole".

Ed aggiunge significativamente poco dopo: "A parte, l'Italia, le cose dell'euro zona non vanno male. Il problema italiano sta nel crescere poco e con un alto debito pubblico: e sta così dal 2006."

In realtà, intervenendo a nostra volta, il nostro declino (specie dal punto di vista del potere d'acquisto del consumatore italiano) è iniziato tre anni prima.

Ma l'essenza di quanto ammesso dagli stessi più alti dirigenti ed economisti tedeschi è una sola, quella che i nostri governi non hanno mai saputo dichiarare o, sapendola, non hanno avuto finora il coraggio di farlo.

Cioè che la moneta unica ha fatto pagare il prezzo più alto ed iniquo al nostro paese.

Non sarebbe più decoroso porre ufficialmente la contestazione, correggere la storia ed individuarne le responsabilità ?

Quanto meno per evitare la geremiade della flessibilità che, comunque, ci allontana dalla stima
internazionale e, al massimo, può solo servire ad accrescere il nostro debito.

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