Oltre all'insufficiente senso dello Stato, qualcosa di altrettanto deludente ispira i nostri legislatori, specie quando si cimentano nell'applicazione concreta di leggi precedenti particolarmente complesse.
E' precisamente il caso dell'istituto denominato "bail in" che opera nell'ambito delle procedure concorsuali del comparto bancario ed assicurativo, e la dimostrata incapacità dei nostri legislatori di averne saputo cogliere la sua significativa "ratio legis".
Il "bail in", è entrato a far parte del nostro sistema tributario, per decreto legislativo 180/2015 in conformità ad una decisione assunta, nel biennio precedente, dalla commissione europea.
A tale decisione non fece seguito una naturale, preventiva e consapevole presa d'atto, sia del parlamento, come del mondo delle imprese, specificamente del comparto bancario, e naturalmente del grande pubblico dei risparmiatori italiani: quasi nella presumibile ipotesi che fosse una novità che mai sarebbe diventata effettivamente operante.
La comprova di tale inadempienza è emersa chiaramente nella vicenda del tentativo di salvataggio delle quattro banche risparmio (Banca popolare di Etruria, Banca Marche, CariRieti e CariFerrara)
in accertato stato di decozione ed affrontato un anno fa.
Salvataggio, come si ricorda, gestito in modo convulso, nel cui ambito, per la prima volta emerse come canone rigido di doverosa applicazione, il "bail in", che fu effettivamente applicato ma con conseguenze assai tristi, per i risparmiatori privati, uno di quali, scelse il suicidio.
La novità del"bail in", (letteralmente "scopa all'interno ", cioè, ristruttura il bilancio con i mezzi, disponibili all'interno dell'azienda) riguarda specificamente il mondo del credito, e consisteva in questo: lo Stato non sarebbe più intervenuto a salvare le aziende di credito, senza cancellare preliminarmente obbligazioni (di incerta esigibilità) e conti correnti (se di saldo superiore alla soglia di 100 mila euro) intestati a terzi.
La ratio di questo "bail in", ove resa nota tempestivamente al momento della sua adozione da parte della Commissione europea, non era priva di fondatezza, per il suo evidente richiamo alla cautela ed alla competenza implicite in ogni operazione di investimento.
Con il "bail in" si dice in sostanza agli investitori: voi dovete essere sufficientemente informati della consistenza patrimoniale e dell'efficienza gestionale della banca a cui affidate i vostri risparmi ed è bene che siate parimenti consapevoli di tutti i rischi connessi.
Superfluo sottolineare quanto sarebbe stato utile e doveroso che tutta l'opinione pubblica fosse informata ed opportunamente approntate le condizioni dell'entrata in vigore di tale Istituto (lo stesso Matteo Renzi lamentò che altri paesi della Ue se ne fossero fatti ampiamente carico).
Ora tuttavia il Governo è in attesa di garantire se stesso, nella misura più compiuta possibile, nell'escludere di cadere vittima di tale procedura ove le aziende cui esso stesso ha concesso dei mutui, rientrino nella procedura concorsuale del "bail in".
A questo fine, nella maggioranza parlamentare, si vuole inserire lo Stato nell'art.49 del dslg 180/2015 (sopra richiamato) dove si elencano alcune tipologie di depositi che vengono escluse dall'applicazione del "bail in".
Dal che si desume la pavidità del dirigente statale e del responsabile politico di subire conseguenze di carriera, nell'ipotesi di decisioni incaute per prestiti a favore di istituti di credito.
Se poi, lo Stato si troverà comunque (per ragioni politiche, sociali o clientelari) ad intervenire ugualmente nelle tante situazioni del mondo del credito in stato di non improbabile decozione,
il contribuente sarà tenuto a corrispondere molto di più del dovuto: ma questo non sembra far parte delle preoccupazioni del legislatore.
In tutto questo è inevitabile sottolineare l'assai poco commendevole senso dello Stato e la superficialità di molta parte della burocrazia pubblica e dei ministri che se ne avvalgono.
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