Non è un fatale destino, neppure per un ministro, il dover scegliere sempre di tacere la verità: specie laddove, e quando, il suddetto è chiamato ad esprimere pubblicamente pareri o, addirittura, assumere decisioni operative.
E sicuramente lo è per uno studioso di discipline economiche, docente universitario e accreditato consulente in sede politica, per tale prestigio catapultato nell'empireo dell'alta burocrazia internazionale, ed infine assurto, dal febbraio 2014, alla responsabilità di ministro della Repubblica per il Ministero di Economia e Finanza.
Ci riferiamo appunto a Pier Carlo Padoan, dopo la lettura dell'intervista da lui rilasciata ad Enrico Marro, sul Corriere della Sera, il 20 novembre scorso.
Una intervista nella quale, davanti a sobrie, pur se poco incalzanti, domande dell'intervistatore, il nostro ministro espone, con pari superficialità, cause e rimedi, della situazione economica complessiva.
A sintetizzare il contenuto essenziale dell'intervista è l'efficace titolo di Corsera che fornisce lo spaccato della sua attuale visione del paese.
Padoan individua infatti le cause principali delle crescenti incertezze delle cose italiane, nelle impreviste vicende della Brexit e degli interrogativi impliciti nella vittoria di Trump.
E parimenti esalta ineffabilmente i suoi sicuri rimedi nella possibile vittoria del "Sì" al referendum del 4 marzo.
E' il pensatore di sempre, che riesce a non (volere o sapere) diagnosticare le crisi, indicandone sempre cause sempre riconducibili ad altri, oppure negando la sussistenza stessa della crisi o comunque esaltando mirabolanti vie d'uscita risolutive.
Successe del resto quando Pier Carlo coordinò un gruppo di noti economisti, nel 1998, per una ricerca finalizzata alle modalità più consone alla fondazione della moneta unica.
Ricerca successivamente enucleata nella pubblicazione di un libro, con sua prefazione e postfazione, il cui titolo suonava magniloquente "L'Euro: Moneta Europea, Moneta Mondiale" (Quaderni Cer, Centro europeo di ricerca, febbraio, 1998).
Naturalmente, quando poi risultò, pressoché in contemporanea, che l'euro fu concepito con i criteri
che sappiamo, vale a dire astronomicamente lontani da quella ricerca, scelse di non proferire parola e, felicemente dislocato presso l'Ocse, tacque per sempre.
Assurto a ministro e giurato fedeltà alla costituzione, Padoan ha costantemente adottato il criterio di troncare e sopire i sintomi sempre più palesi della crisi italiana, quasi indifferente al precipitare del Debito pubblico di cui è per definizione direttamente responsabile.
Ad ogni crisi italiana del mondo del credito, il nostro ministro ricorre impudicamente alla denegazione dello stato di crisi generalizzata del sistema bancario italiano, che anzi, reiteratamente, continua imperterrito, a definire solido: salvo poi farsi sorprendere del tutto impreparato di fronte alla novità del "bail in".
E' difficile accettare che, con tutte le crepe che attraversano l'economia italiana, il punto preminente dell'impegno del nostro responsabile economico, si debba identificare essenzialmente nella rivendicazione, in sede europea, di una maggior flessibilità dei nostri conti: con una insistenza che appare quasi la rappresentazione odierna del mito delle fatiche di Sisifo.
E' mai possibile che ivi possa consistere l'effettiva ed efficace terapia delle italiche criticità, senza percepire di quanto tale strategia sia cieca di fronte alla subalternità in cui scivola da tempo il nostro paese?
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