domenica 28 maggio 2017

Taormina. Le difficili compatibilità e le doglianze di Donald Trump

Sulla collina di Taormina laddove, nostri antenati di oltre due millenni or sono, raccolti nel teatro esposto a balcone sulla splendida baia del mare antistante, poterono ascoltare i versi delle grandi tragedie greche, si è quasi consumata una rottura fra i 7 grandi della democrazia e del capitalismo occidentale (Giappone incluso).

Il tema principale della divaricazione, fra Usa e gli altri 6 paesi, non rientrava peraltro nel tragico ed ampio arco dei sentimenti e dei grandi conflitti umani di quei tempi e nemmeno dei successivi millenni e secoli di storia.

Lo scontro in atto è infatti relativo alla recentissima (ed ancora inadeguata) consapevolezza del rischio altissimo, sempre più acutamente avvertito dall'odierna civiltà, di varcare i limiti irreversibili della violenza e della distruzione ambientale.

L'iniziale indisponibilità del presidente Donald Trump a riconoscere la validità dei patti già precedentemente raggiunti (quelli di Parigi, soprattutto) ha potuto essere, almeno temporaneamente, metabolizzata grazie alla successiva e dichiarata sua intenzione di riservarsi un idoneo lasso di tempo per un eventuale utile ripensamento.  

Il compromesso faticosamente raggiunto, ha dovuto tuttavia superare una seconda incrinatura fra Trump e gli altri 6 capi di governo, ma in senso più specifico con la Germania, accusata da Trump di praticare una politica commerciale, nei confronti con gli Usa, secondo regole ispirate a pratiche di "dumping", cioè avvalendosi del ricorso a prezzi di vendita di prodotti previamente calcolati a livelli inferiori al loro costo di produzione.  

La denuncia del presidente Trump, è stato comunque il motivo che ha impedito di concludere, per la prima volta a Taormina, l'incontro dei G7 senza una congiunta conferenza stampa, e quindi evidenziando la linea netta di separazione degli Usa dagli altri 6 paesi.

Ma la divergenza con i tedeschi segna anche una occasione non secondaria per soppesare la politica commerciale del nostro paese.

Cioè a riesaminare le conseguenze di vantaggi e svantaggi che l'impostazione adottata per la moneta unica europea ha determinato per la Germania, per gli altri paesi dell'Unione ma con un bilancio sicuramente passivo per l'Italia.

In definitiva la "svalutazione monetaria competitiva",  non era altro che una modalità del "dumping" cui l'Italia, al tempo della lira, aveva fatto frequentemente ricorso, nel quadro degli scambi commerciali con la Germania,

Con l'accordo di conversione della lira nella moneta unica, noi siamo stati incalcolabilmente penalizzati da un cambio sfavorevolissimo con l'euro, tramite appunto (vedasi la finestra "Perché questo blog") una preliminare, ingiustificata e radicale sottovalutazione della lira con il marco.

Ora ci accorgiamo in sovrappiù delle conseguenze a livello globale, dove è proprio il marco ad avvantaggiarsi alla grande della svalutazione monetaria e trasferendone sul nostro paese, principale concorrente europeo della Germania per l'esportazione, le principali e tuttora operanti sofferenze.

Non dovrebbero aver ragione di stupirsi i rappresentanti della Confindustria (loro assemblea di questa settimana) nel rilevare che il Pil del nostro paese è pressoché l'unico in Europa a non aver registrato incrementi precisamente dallo stesso anno dell'entrata in campo della moneta unica.            

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