Il debito pubblico italiano prosegue imperterrito la sua ascesa,con un aumento medio, desumibile dagli ultimi dati ufficiali, superiore ai dodici miliardi mensili.
Il debito pubblico italiano ha superato, alla data del 31 maggio scorso, il suo stesso record europeo precedente, raggiungendo precisamente quota di "duemila duecento diciotto miliardi" di euro e confermandosi saldamente, con Usa e Giappone, fra i tre stati con i debiti più alti in assoluto di tutto il mondo.
Non è stata finora registrata,a livello mediatico, alcuna particolare dichiarazione pubblica di sorpresa o comunque di preoccupazione, come se la notizia debba essere interpretata alla stregua di un dato perfettamente scontato, comunque previsto o prevedibile.
Nessuna risposta pertanto dalle istituzioni competenti al naturale quesito sull'utilità di tutte le riforme ed i sacrifici richiesti per ottemperare alle richieste europee di miglioramento del nostro bilancio pubblico.
Anche a livello privato, secondo tradizione, il dato viene vissuto come elemento estraneo al presente ed al futuro del nostro immaginario, sociale o privato.
L'ampiezza stessa del suo ammontare viene, anzi, quasi considerata come (demenziale) garanzia della sua irrimediabilità o comunque, nella sua proiezione temporale, un problema fuori dalla nostra portata e psicologicamente suscettibile di legittima rimozione.
E' stato sempre così, si usa dire, e i più informati ci spiegano che, storicamente, si è sempre fronteggiato il debito con l'inflazione o con emissione di titoli di stato (e relativo continuo aumento dei tassi di interesse, con la gioia dei sottoscrittori) oppure con aumento di tasse e imposte.
Nei casi estremi, almeno fino alla prima parte del secolo scorso, anche con iniziative militari.
Nella situazione attuale, tuttavia, niente di quanto sopra è più nelle nostre possibilità, e i fatti greci, tuttora ben lungi dall'essere risolti, dovrebbero renderci più consapevoli del nostro scenario futuro.
Proprio nel caso greco, stiamo infatti assistendo a importanti novità nei rapporti internazionali che si riassumono nel superamento delle forme classiche dell'egemonia (e della subalternità) fra le nazioni.
Non più occupazioni "manu militari" da parte altrui, bensì a forme di espropriazione dei beni pubblici da parte di stati o compagnie private (ovviamente in prevalenza straniere).
Del resto, proprio nel processo di unificazione monetaria, del tutto incomprensibilmente, è appunto già successo che il nostro paese abbia ceduto la sovranità nel battere moneta sacrificando parte cospicua del nostro potere d'acquisto.
Non sarebbe più decoroso denunciarlo, a livello comunitario europeo, prima che il nostro paese sia chiamato a consumare la stessa esperienza greca?
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