mercoledì 8 luglio 2015

L'allocuzione di Alexis Tsipras al parlamento europeo

Il discorso di Tsipras, stamane davanti al parlamento europeo, è arrivato puntuale, non diverso da come, forse, da molti previsto come l'unico logico, possibile e naturale.


Era certamente l'unica tra le risposte possibili idonea ad interpretare il senso politico dell'esito del referendum di domenica scorsa ma, soprattutto, a caratterizzarne la versione popolare ed esportabile oltre i confini greci.  

Cioè la sua natura sociale, avulsa da ogni contestazione specifica di carattere nazionalistico, dove ogni ricostruzione in chiave di procedura, contrattuale o pattizia, sarebbe risultata debole e fatalmente perdente.

L'impostazione del discorso è andata rapidamente al nocciolo della questione; nel riconoscere la massa dei finanziamenti ricevuti dalla Grecia, misconoscendone contemporaneamente l'identità popolare dei suoi effettivi beneficiati.

Non il popolo ma le banche, non i livelli occupativi ma la speculazione, non l'investimento produttivo ma il parassitismo di pochi (o numerosi?) privilegiati.

In questo senso, il leader greco si è riallacciato (deliberatamente o inconsciamente, difficile dire) all'internazionalismo ideologico del secondo ottocento.

Ha scelto la sua interpretazione dei fatti, consegnatagli da quei due su tre dei suoi connazionali che hanno risposto no al quesito referendario, e la offre come sua verità al resto dei ventotto paesi dell'Unione europea.

I quali, meglio i loro rappresentanti istituzionali, emetteranno la loro sentenza non nel semplice buon gioco del bilancio delle inadempienze greche, ma nel conflitto interiore oscillante in una alternativa comunque sofferta.

Cioè tra una esclusione della Grecia  (originata da contraddizioni che stanno sopra la testa della comunità greca) o tra una sua continuità nell'Unione europea (gravida di conseguenze politiche per l'iniquità conseguente a carico dei, pochi o molti, partner europei che alle regole si sono, con grande o piccola sofferenza, attenuti).

E comunque con l' interrogativo residuale dei molti errori (e soprusi) che il processo unitario europeo non ha saputo evitare e tuttora stenta a riconoscere.              

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