sabato 13 agosto 2016

Il guazzabuglio del bilancio capitolino, dimostrazione "per assurdo" di (mancata) sapienza amministrativa

Il fallito tentativo del Pd di una mozione di sfiducia per Paola Muraro, neo assessora all'ambiente della giunta capitolina guidata dal Movimento a 5 stelle, è comunque una feconda occasione di una riflessione collaterale di ordine generale.

Muraro era accusata di conflitto di interessi ed omessa informativa di reati perpetrati dall'Ama, azienda competente per la raccolta di rifiuti della Capitale e con cui essa, in periodi precedenti, aveva svolto, per lungo tempo, mansioni di consulente.

A prescindere dalla fondatezza delle contestazioni avanzate in sede assembleare (di cui non è escluso un prolungamento in sede giudiziaria, dopo la pausa ferragostana) è tuttavia opportuno un approfondimento dei temi variamente (ma disordinatamente) affrontati nel dibattito consiliare e nel mondo mediatico che ne è stato la cornice.

Al di là infatti delle posizioni politiche personali e di partito, oltre alla individuazione delle criticità più significative del disastroso bilancio capitolino, la circostanza ricordata offre la rara opportunità di focalizzare un elemento decisivo delle cause profonde dei malanni che caratterizzano parte cospicua di tutta la contabilità pubblica degli Enti locali e delle aziende partecipate ad essi facenti capo, di cui il Comune di Roma è esempio decisivo.

Sul piano metodologico, è infatti legittimo indicare quale presupposto essenziale di una autentica riforma della pubblica amministrazione (ultima in ordine di tempo la legge 196 del 31 dicembre 2009), obbligati come siamo a constatare il costante persistere della primazia dottrinale della "contabilità di cassa" rispetto alla "contabilità di competenza".

Come è noto, se storicamente il controllo della "contabilità di cassa" era giustificata ai tempi post risorgimentali della nascita dell'Ente locale, e la connessa limitatezza delle competenze di tali organismi (raccolta delle tasse e dei dazi locali e pagamento del personale e delle proprie sedi).

L'espansione del secolo e mezzo successivo del numero dei Comini e soprattutto dell'ampiezza delle loro funzioni dei Comuni, ha gradualmente reso di fatto invalicabile il controllo, tempestivo e qualitativo, dei bilanci pubblici.          
   
L'esempio lampante di questi limiti è appunto scaturito, nella circostanza da cui siamo partiti, dall'emersa constatazione delle obsolescenze della sopra citata Ama, nell'uso dei macchinari e dell'obsolescenza tecnologica, la cui arretratezza, solo una idonea "contabilità di competenza" (e coerenti piani contabili) sarebbe stata tempestivamente in grado di segnalare.

Negli Enti locali, in effetti, è evidente l'imponenza crescente degli investimenti indispensabili alla complessità del funzionamento ininterrotto della vita dei cittadini tutti, residenti o di transito, nell'articolazione complessa di tutte le esigenze, sociali, culturali e sanitarie, nell'arco complessivo della loro esistenza.

E' intuitivo come l'elemento monetario del flusso di cassa necessario al normale funzionamento di ogni minuscolo Ente locale, non può non trovare la giustificazione di ogni causale di spesa, in piena simultaneità delle singole somme erogate e di corrispondente individuazione del beneficiario (in piena conformità con i criteri della partita doppia che sancisce la simmetrica specularità, a segno algebrico contrapposto, di ogni variazione contabile.

In termini succinti, devesi porre il fondamentale principio dottrinale dell'ammortamento, nella sua interpretazione dell'usura naturale di ogni parte del patrimonio di pertinenza comunale (strade, ponti, sistemi di illuminazione, scuole materne, assistenza sociale...) di cui devesi provvedere con una quota prudenziale annuale iscritta a bilancio a futura memoria.

Per evitare, ad esempio, che si provveda a rappezzare alla meglio una strada impercorribile con ricorso a frettolosi provvedimenti di emergenza, con il risultato di verificarne, dopo breve periodo, la sopraggiunta impraticabilità.  

Nel sottolineare che nella legislazione italiana è stato sancito il principio che i capoluoghi di dieci regioni a statuto ordinario (analogamente a quanto già realizzato in altri paesi europei) la facoltà di trasformare i comuni capoluogo in "città metropolitane".

Ad esse, fra cui ovviamente Roma Capitale, possono venire attribuite competenze che si estendono oltre i confini amministrativi tradizionali incorporando altri comuni con i quali hanno coincidenti problemi di ambiente, territorio, sanità, economi, trasferendo ad ampliando i vecchi poteri della Provincia.

Con l'ottimismo della volontà, è lecito auspicare che, in termini istituzionali, siano ampiamente disponibili i presupposti di una visione più adeguata e più concisa, con idoneo ricorso ai moderni mezzi di controllo digitali, dell'attuale costellazione di circa otto migliaia di comuni, che obbediscono ormai a ingiustificate mire conservatrici e produttive di grande dispersione di efficienza.

E soprattutto per evitare il ripetersi dell'indecoroso ripetersi del silenzio con cui è tuttora poco chiaro l'ammontare del debito del Comune di Roma e l'eventualità di trasferimenti di parte del debito comunale di Roma Capitale, nell'alveo molto più ampio della fiscalità generale.      

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