martedì 9 giugno 2015

E' rischio nazionalistico rivendicare i legittimi interessi nazionali ?

<La Ue non fa abbastanza>, ha dichiarato il presidente del consiglio, in diretto riferimento alla (limitatissima) disponibilità dei paesi dell'Unione europea di assumersi il carico proporzionale del sostentamento della collettività migrante, dall'Asia minore e dal continente africano, in cerca di asilo in terra europea.

Quasi contemporanea, ecco la presa di posizione di Roberto Maroni, subito imitato dai neo governatori di Veneto (Luca Zaia)  e Liguria (Giovanni Toti) che, depotenziando la dichiarazione di Renzi e sorretti da incerta legittimazione, diffidano i prefetti e invitano i sindaci a disincentivare l'accoglienza di questi nuovi esuli del XXI secolo.

A completare il quadro delle iniziative centrifughe, segue a ruota l'improvvisa decisione grillina di assumere l'iniziativa referendaria dell'uscita dall'euro...

Al di fuori del merito e della incerta fondatezza politica delle rispettive posizioni, appare comunque non infondato il quesito se in tali contrapposti interessi nazionali, possa allignare il rischio di cadere in dilemmi in cui, al di là di ogni intenzione consapevole, possa inserirsi l'inconscio dell'appartenenza alle rispettive origini nazionali.

Rischio non da poco, se riflettiamo sulle tragedie che tale sentimento, debitamente coltivato e soprattutto fomentato da contrapposti sentimenti altrui, ha generato, nella prima metà del secolo scorso (in sequenza crescente di due guerre mondiali in soli tre decenni), una svolta definitiva di una storia millenaria, a livello mondiale.

Svolta che rivestì per i popoli il carattere di vera e propria catarsi dai tanti errori di cui nazionalismi variamente interpretati, ma tutti diversamente responsabili, fecero maturare le cause di quel drammatico periodo di reciproche stragi.
 
La doverosa consapevolezza di questo pericolo non deve tuttavia farci cadere in un opposto sentire che è, per noi italiani, purtroppo altrettanto secolarmente radicato nella storia patria, identificabile con lo spirito gregario che, per scelte di convenienza materiale, ha implicato nei secoli la via obbligata dell'abdicazione alla sovranità politica: come documenta il celebre aforisma popolare che recitava "Francia o Spagna, basta che se magna".

Ne ritroviamo forse una traccia inconsapevole anche nel dettato costituzionale (quanto meno nella sua rigida interpretazione) previsto nella Costituzione all'articolo 75 e relativo all'inammissibilità referendaria della "autorizzazione a ratificare trattati internazionali".

Valgano ad esempio i recenti relativi all'acquisto degli "F 35" o quello della conversione della lira (la cui ratifica di merito, in sede parlamentare, non risulta verificabile ufficialmente).

E' lecito oggi ravvisare quanta parte di nazionalismo antico sopravvive invece forse nei nostri partners europei, o in taluni di essi, favoriti dall'handicap dell'irreversibilità del processo di unità europea.

Un nazionalismo appunto completamente spogliato di ogni aspetto riconducibile a tematiche di superiorità razziali, ma tutt'altro che esente dalla tentazione dell'interesse nazionale, quale è configurabile nei rapporti economici che sono il distintivo di un nuovo genere, appunto, di egemonia e che questo blog ha ritenuto di battezzare come neo colonialismo monetario.

Il che ammonisce a dover correre il rischio di far vibrare corde sensibili ad un nazionalismo nel limitato perimetro di legittima difesa dal nazionalismo altrui.

Come infatti succede nell'opera di costruzione di questa Europa che tutto pare tranne che un esempio di federalismo, né nelle sue forme istituzionali né soprattutto nel cuore delle genti che lo compongono.

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