domenica 14 giugno 2015

La globalizzazione del commercio, la speculazione delle monete e la tendenza dispersiva dei poteri mondiali

Nel distratto riscontro dei grandi quotidiani e dei media televisivi, è dunque accaduto, nel corso della settimana appena trascorsa, che Barack Obama non ha ricevuto l'approvazione del Congresso, dopo averla ottenuta dal Senato il 23 maggio scorso, per il riconoscimento del potere di stipulare patti internazionali inerenti al libero scambio commerciale.

Di conseguenza, le trattative, a livello (almeno inizialmente) riservato e relative ai negoziati in corso da alcuni anni con duplice e distinta controparte dei paesi del Pacifico e dell'Unione europea (TTIP), devono considerarsi congelate.

La singolarità della sconfitta di Obama, nell'ambito complessivo della politica del "Free trade" (Libero commercio) nord americano, non è imputabile all'opposizione delle file repubblicane (parte delle quali hanno anzi votato a favore), ma da settori dello stesso suo partito democratico.

Il quadro finale che ne scaturisce sembra dirci che il libero scambio commerciale non conserva, nemmeno negli Usa, quell'irresistibile attrazione che i liberisti classici hanno sempre dato per scontata.

Proprio dalla sconfitta di Obama si deduce infatti che, nell'ambito stesso delle forze politiche vicine al mondo delle imprese (sia sul versante americano come su quello asiatico orientale, Cina e Giappone), gli interessi in conflitto sono difficilmente ricomponibili all'insegna taumaturgica del libero commercio.      

Forse dal punto di vista della globalizzazione il capitalismo internazionale può ritenere di avere ottenuto già molto sulla libera e quasi assoluta circolazione delle monete, strumento indubbiamente molto più duttile dello scambio commerciale, la cui dipendenza da fattori molto più rigidi, "in primis" la manodopera, rende molto meno frequenti le occasioni di grandi manovre speculative.    
      
Ma lo smacco di Obama, a parte il parziale offuscamento della sua eredità politica, apre molti quesiti sulla tendenziale mutevolezza del potere politico mondiale sempre più percorso da friabili equilibri e reciproche contraddizioni.
   
In pochi lustri abbiamo infatti visto dissolversi la divisione mondiale in due blocchi politicamente ben definiti, il sorgere di protagonismi segnati da unioni nazionali (Ue) e, viceversa, la disgregazione di unioni precedenti (Urss) con, infine, l'emergere minaccioso di nuove e incontrollabili forze dinamiche (Isis) alla luce ispiratrice di fattori religiosi (o dell'uso politico dei medesimi).

A cui possiamo aggiungere l'indecifrabilità di molte realtà del Continente africano e dell'Asia sud orientale.

Si dissolvono, in conclusione, molte categorie politiche concettuali alle quali si sono formate tutte le generazioni attualmente adulte che hanno responsabilità pubbliche, a livello locale e mondiale.

Resta solo da sperare che esse, quanto meno, nella ricerca del nuovo, siano capaci di non restare prigioniere di presupposti che hanno visibilmente svolto il loro tempo.

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