Venerdì prossimo, secondo un calendario da tempo fissato, il Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker si recherà ufficialmente a Roma, per incontrare il premier Matteo Renzi e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Nel periodo finale del vecchio e dell'inizio del nuovo anno, tale incontro si rese opportuno, forse addirittura indispensabile, per fronteggiare l'aperto e reiterato manifestarsi di dissenso critico (ed attrito psicologico), fra l'esponente politico lussemburghese ed il premier italiano, sulle modalità interpretative dei conti pubblici italiani.
Purtroppo, non sempre il prendere tempo giova al superamento dei dissensi: rispetto infatti a due mesi or sono, il quadro complessivo, nazionale ed internazionale, si è ulteriormente deteriorato.
Le previsioni per il nostro prossimo Documento di economia e finanza (Def, acronimo) basilare per i confronti di compatibilità con i trattati di Maastricht, non sono infatti certamente i più idonei per favorire un buon esito dei colloqui con Juncker, quali che possano essere i suoi personali convincimenti ed intenzioni.
Il nostro Debito Pubblico è aumentato e le previste diminuzioni del deficit di bilancio sono nettamente contraddette dal peggioramento del Pil nazionale (come lo stesso Ocse ha con freddezza pubblicamente notificato).
A rendere assai più problematico il quadro d'insieme è intervenuta (purtroppo per alcuni, felicemente per altri) la novità collaterale di un articolo, apparso ieri, 21 febbraio, sulle pagine interne del Corriere della Sera, a firma di Carlo Calenda, con l'aggiuntiva e specificata qualità ufficiale di "Rappresentante Permanente italiano presso l'Unione Europea".
Articolo dunque di notevolissimo spessore, le cui implicazioni non possono certo essere misurate alla stregua di una personale e circostanziata riflessione politica.
Al contrario, le sue argomentazioni, condivisibili o meno, appaiono sicuramente meritevoli di essere promosse al rango di documento di riconsiderazione radicale del modo di stare politicamente in Europa, dal punto di vista italiano.
Calenda infatti, dopo aver derubricato come obsoleto il dilemma "flessibilità/austerità", non esita, nel suo scritto, a riproporre per l'Italia un ruolo centrale nella necessità di riscoprire la competitività globale, con specifico riguardo ai grandi temi dello sviluppo dell'economia mondiale, con non casuale riferimento alla produzione industriale ed alla connessa crisi dell'acciaio ed ai rapporti commerciali con la Cina.
Comparato, quasi impulsivamente all'agire felpato e cauto della collega Federica Mogherini (alta rappresentante italiana della politica europea), l'articolo di Carlo Calenda è una vera e propria incarnazione del suo opposto modello: per le cose che dice e per la spigliatezza lessicale del modo di dirle .
Quanto meno, ci sono i presupposti diplomatici di una non impostazione indipendente e propositiva della nostra politica europea: sempre che naturalmente siano chiare, da parte di chi lo ha nominato, le condizioni minime necessarie a supportarla.
Già dall'incontro imminente di Juncker, con i nostri massimi rappresentanti, la sorpresa di una imprevista novità del nostro stile diplomatico, potrà trovare una prima, auspicata o temuta, probabile conferma.
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